Dieci anni fa Steve Jobs saliva sul palco del Moscone Center di San Francisco con in tasca il primissimo iPhone Edge. Il padre (o forse addirittura il nonno, oramai) di tutti gli smartphone ha innescato una rivoluzione che, unita all’ascesa dei social network, sta definendo il modo di comunicare della nostra epoca. Fra le tante ricadute, quella sul settore dei videogiochi, per quanto marginale, è una delle più interessanti. Il gaming mobile è cresciuto in maniera esponenziale, strappando parte dell’utenza casuale alla trimurti Nintendo/Sony/Microsoft. In un certo senso iPhone e succedanei hanno portato a compimento quell’opera di democratizzazione dei videogame iniziata dalle console negli anni ‘80. Per un periodo ci siamo liberati dalle catene del PC, dei requisiti, delle installazioni e degli aggiornamenti continui (salvo poi vederceli ripiombare in casa con le console di ultima e penultima generazione), gli smartphone sono il passo successivo, permettono di godere esperienze ludiche più che dignitose senza strumenti specializzati.

In un’epoca in cui le console si sono trasformate in strani ircocervi, un po’ media center, un po’ giocattoli e un po’ computer, gli smartphone hanno riscoperto la semplicità dell’approccio touch, titoli non troppo complessi, giocabili ovunque, senza troppe pretese. Quel pubblico che aveva sostenuto l’enorme successo di Wii e Nintendo DS si è trasferito in massa su Android e iOS, non vedendo alcuna sostanziale differenza fra Angry Birds a 0,99€ e Wario Ware a 39,99€. Giochi dai budget relativamente bassi fanno numeri impensabili pure per il titolo tripla A più mainstream: Clash of Clans supera quotidianamente i 100 milioni di utenti unici, Candy Crush è arrivato a quasi 400 milioni di download.

Angry Birds screenshot

Angry Birds, ovver “minimo” sforzo, massimo risultato

Probabilmente in questi dieci anni abbiamo assistito a uno spostamento demografico enorme, che andrà a influire sul futuro dei videogiochi non a breve, ma a medio e lungo termine. Oggi il mercato delle console è tenuto in piedi dagli ex ragazzini/bambini degli anni ‘80 e ‘90, quelli cresciuti col NES, chi ha vissuto la console war SEGA/Nintendo, chi ricorda il passaggio dal 2D ai poligoni di Tomb Raider. Il dodicenne moderno, invece, ha come oggetto del desiderio Playstation 4, ma di più lo smartphone di alta gamma e, perciò, crescerà formandosi sui giochi dell’App Store, su Asphalt 8 anziché su Gran Turismo, su Clash Royale anziché su Age of Empires.

Gli smartphone hanno probabilmente costretto a una ritirata strategica (ma definitiva) le console portatili (PS Vita avrà mai un successore? Nintendo Switch sembra voler unificare una volta per tutte l’esperienza home e portatile) ed altri effetti potrebbero arrivare a medio termine, con l’integrazione fra smartphone, tablet e smart TV. I videogiochi come li intendiamo noi “anziani” dovranno trovare il modo di rispondere a questo cambiamento, per superarlo contenendo i danni. Per ora le risposte, fra realtà aumentata, VR e 4K non paiono troppo convincenti ma, dopotutto, i cicli tecnologici non sempre hanno pietà. Nei prossimi anni le console non spariranno, ma potrebbero profondamente cambiare, allo stesso modo i giochi classici: date in mano a un bambino di dieci anni un DualShock e proponetegli di giocare ad Uncharted, poi dategli un iPhone con Temple Run. Sceglierà il secondo, perché ormai la sua mente si è formata su quell’interfaccia, proprio come noi siamo nati insieme al pad (o al mouse e tastiera).

La domanda non può non sorgere spontanea: “cosa succederà tra altri dieci anni?”