Su BadGames non amiamo occuparci troppo del mondo reale. Dopotutto, quando si hanno a disposizione il Regno dei Funghi, i pianeti infiniti di No Man’s Sky, Novigrad o Hyrule perché dovremmo aver bisogno delle miserie terrestri?

A volte però la storia, quella che entra nelle stanze, le brucia, da torto o da ragione, si insinua anche nel nostro splendido isolamento. Il referendum britannico dell’altro ieri con la conseguente uscita del Regno Unito dall’Unione Europea (la Brexit, per usare un orrendo termine del gergo eurocratico) avrà ripercussioni colossali sull’economia mondiale, sulla politica e sulla vita di ognuno di noi. Lasciamo ad altri le analisi di ampio respiro (il Financial Times ha dedicato un’intera sezione del suo sito al post – Brexit), noi ci occupiamo solo di giochini ma, pure nel nostro piccolissimo, qualcosa è destinato a cambiare. Con la Sterlina ai minimi dal 1985, l’indice FTSE a -16% e una riapertura dei mercati dopo il week end che si preannuncia simile alla Battle of the Bastards di Game of Thrones, il futuro inglese pare tutto fuorché allegro.

La principale associazione di categoria britannica, UKIE (United Kingdom association for Interactive Entertainment) nelle scorse settimane aveva tenuto un sondaggio fra gli iscritti, svelando che solo il 3% degli sviluppatori inglesi desideravano uscire dall’Unione Europea e, giusto ieri, ha dichiarato: “anche se questa decisione [di uscire dalla UE] e l’incertezza politica che ne consegue avrà un impatto nel nostro settore va ricordato che siamo comunque realtà di successo e fra i principali esportatori nel campo dell’economia digitale. UKIE continuerà a lavorare con il governo per garantire il miglior ambiente possibile agli sviluppatori britannici. Seguiremo da vicino gli aggiornamenti e informeremo i nostri iscritti di conseguenza.”

“l’industria videoludica non fa distinzioni basate su nazionalità o cittadinanza, cerca i migliori ingegneri, i migliori artisti e i migliori programmatori e, per assumerli, deve offrire condizioni e stipendi invitanti”

In generale si respira grande incertezza: intervistato da Polygon, Phil Harrison, già dirigente di SCEE e Microsoft Game Studios, ha spiegato che “non cambierà nulla dalla sera alla mattina, ma potrebbero esserci dei problemi”, aggiungendo che “i publisher non potranno fare molto se il prezzo dei prodotti aumenterà a causa di nuovi standard doganali, inoltre non siamo in grado di dire ora quali saranno le conseguenze sui posti di lavoro”. Già, il lavoro, l’industria videoludica – come moltissime altre realtà ad alto contenuto tecnologico – non fa distinzioni basate su nazionalità o cittadinanza, cerca i migliori ingegneri, i migliori artisti e i migliori programmatori e, per assumerli, deve offrire condizioni e stipendi invitanti. Londra e, in generale, il Regno Unito fino a ieri rappresentavano una sponda più che solida nel procelloso male europeo. Ma domani? Se il nuovo governo imponesse una politica più restrittiva per i visti lavorativi? Se gli accordi post – Brexit comportassero tasse più alte e meno sgravi fiscali?

Il business, si sa, non ama la terra incognita, sviluppare un videogioco, ma pure costruire un’acciaieria o fare ricerca medica sono attività complesse, lunghe e orrendamente costose, nessuno ha voglia di impelagarsi con un paese che, purtroppo, da qui a ottobre potrebbe vivere una delle fasi politiche più travagliate dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Quasi un secolo fa George Orwell, concludendo il suo storico reportage dalla Spagna della guerra civile, scrisse:

E poi l’Inghilterra – l’Inghilterra meridionale, probabilmente il paesaggio più curato del mondo. Quando lo si attraversa, soprattutto se, reduci dal mal di mare, si è tranquillamente sprofondati fra i morbidi cuscini del treno che dal porto va a Londra, riesce difficile credere che qualche cosa da qualche parte accada veramente. Terremoto in Giappone, catastrofi per fame in Cina, rivoluzioni in Messico? Nessuna preoccupazione, domattina il latte sarà come sempre davanti alla porta di casa e il «New Statesman» uscirà venerdì.

Ecco, questa volta qualcosa è accaduto veramente, forse nei prossimi anni assisteremo a una migrazione dei grandi studi verso l’Europa continentale oppure il Regno Unito riuscirà a mantenere la sua trentennale leadership. Le previsioni, come ci hanno dimostrato i sondaggi sulla Brexit, ci beccano sempre molto poco, nel frattempo possiamo solo aspettare e guardare, dalla tribuna, dove porterà questo ennesimo tornante della storia.