Sin dal suo annuncio, Kena: Bridge of Spirits è riuscito ad attirare la nostra attenzione. Il primo elemento a colpirci profondamente è stato senza dubbio il comparto estetico, per molti versi più simile a un film d’animazione che a un “normale videogioco”. Espressioni facciali, sfondi, colori e regia hanno mostrato sin da subito i muscoli dell’esclusiva Sony, che sarebbe dovuta uscire a marzo su PlayStation 4 e PlayStation 5.

Avete notato il condizionale? Ebbene, non lo abbiamo utilizzato a caso.

Nel corso del recente State of Play, trasmesso la scorsa settimana sui canali social di Sony, il team di Ember Lab ha annunciato che il gioco subirà qualche mese di ritardo. Kena: Bridge of Spirits è ora previsto per un generico “agosto 2021”, infrangendo i sogni di chi si aspettava di poterci giocare nelle prossime settimane.

 

 

Questo ennesimo posticipo da parte di un prodotto di punta per PlayStation 5 ci ha fatti riflettere per l’ennesima volta su quanto effimeri siano ormai gli show digitali di questo tipo. È innegabile che si stia vivendo un’epoca basata sull’hype, dove annunciare in pompa magna un gioco è più importante di pubblicarlo completo e funzionante. Ma cosa accadrà quando il pubblico si stancherà di finte date d’uscita, dell’ennesimo titolo rimandato e di tanto glorificati eventi all’interno dei quali vengono mostrati per lo più prodotti indie?

Quello che ci hanno insegnato Nintendo e Sony, attraverso i recenti Nintendo Direct e State of Play, è come non basti proiettare qualcosa per mezz’ora o cinquanta minuti per uscirne vincitori. La maggior parte dei titoli annunciati nel corso di queste presentazioni sono opere che non meritavano i riflettori di uno “show”. Non perché siano brutti, sia chiaro, ma perché si rischia di banalizzare troppo questi eventi, privandoli della loro forza. Insomma, se si grida “al lupo, al lupo” troppe volte, c’è il rischio che presto nessuno accorra più in nostro aiuto. Nello stesso modo, quando si anticipa l’ennesimo evento esplosivo e indimenticabile, non ci si può aspettare che il pubblico rimanga estasiato per un gioco sulla palla avvelenata. Chi ha orecchie per intendere, intenda.

 

 

La stessa Sony, che negli scorsi anni è sempre stata molto forte nel campo della comunicazione, sembra essersi drammaticamente spenta negli ultimi mesi. Ratchet & Clank: Rift Apart era stato pensato per essere un titolo disponibile nella “finestra di lancio” di PlayStation 5, Returnal e Kena erano previsti per marzo, mentre Horizon: Forbidden West e God of War 2 nella seconda parte dell’anno. Ora abbiamo Ratchet a giugno, Returnal ad aprile, Kena ad agosto e Horizon e il nuovo God of War senza una data e con alcuni rumor che vedono almeno uno dei due titoli posticipato al 2022. Ci rendiamo conto, ovviamente, di come il COVID-19 abbia contribuito a tali ritardi, ma è innegabile che le software house tendano a marciarci sopra con un po’ troppa facilità.

Dopotutto, se un’azienda si accorge di essere in difficoltà a causa dell’attuale situazione economico-sanitaria mondiale, può sempre fare a meno di annunciare date ben precise. Date che, inevitabilmente, subiranno un posticipo, creando del malcontento tra i videogiocatori di tutto il mondo.

 

 

Insomma, tra le perdite più importanti di questo biennio 2020/2021 sembra proprio esserci la capacità di comunicare. Il bisogno di indurre continuamente all’acquisto del proprio pubblico è qualcosa che male si sposa con la situazione attuale e le software house dovrebbero cominciare a prenderne atto.

È molto probabile, infatti, che quest’anno vedremo numerosi altri titoli posticipati di diversi mesi. Non che questo sia particolarmente un male, visto l’enorme backlog che tutti noi ci portiamo dietro, ma è inevitabile che coloro che hanno acquistato le nuove console di Sony e Microsoft non siano particolarmente contenti di ciò. Tutti coloro che sono riusciti ad accaparrarsele, ovviamente. Ennesima malagestione del lancio di una nuova generazione videoludica tanto tormentato, quanto potenzialmente insoddisfacente per il pubblico di appassionati. Ma questa è un’altra storia.