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Incontriamo un Nathan meno spaccone forse, ma decisamente più umano e, con il progredire dell’avventura, verremo a conoscenza anche di alcuni particolari della sua infanzia davvero inaspettati e interessanti.

Naughty Dog conclude la sua pluripremiata trilogia.

 

L’abbiamo aspettato per anni. Certo, abbiamo avuto Lara Croft, e forse pure qualcun altro di cui ora non ci ricordiamo neppure il nome, ma non era esattamente la stessa cosa; le atmosfere, l’umorismo, gli intrighi, Tomb Raider non ha mai spiccato per equilibrio. Dopo Pitfall (e – perdonateci la vena dissacratoria – Quackshot su MegaDrive), i videogiocatori sono stati troppo a lungo senza una vera icona avventurosa, un protagonista capace di rivaleggiare con un certo Fedora e una certa frusta.
 
Alla fine, però, è arrivato: il suo nome è Nathan Drake e, dopo averci trascinati nelle giungle caraibiche e fra le nevi perenni del Tibet, è pronto ad accompagnarci in una nuova (conclusiva?) avventura, stavolta all’inseguimento della misteriosa Iram dei Pilastri, l’Atlantide del deserto, nascosta nelle sconfinate distese sabbiose del Rub ‘al Kali, in Yemen. Ritroveremo il nostro mentore/compagno di viaggi Victor Sullivan, questa volta con qualche anno sulle spalle e – forse – un segreto da rivelarci, insieme a tutti i comprimari che abbiamo imparato a conoscere nei due capitoli precedenti, la giovane reporter Elena Fisher, Charlie Cutter, un esperto truffatore londinese e, infine, la provocante Chloe Frazer, già compagna – in molti sensi – di Drake in Il Covo dei Ladri. In questo episodio i nostri nemici saranno incarnati dalla perfida Catherine Marlowe e dall’enigmatico Talbot, due oscuri personaggi a capo di una potentissima società segreta che affonda le sue radici nell’età elisabettiana, con cui si era già scontrato Sir Francis Drake. Senza voler rivelare null’altro della trama si nota fin dai primissimi minuti di gioco come Uncharted 3 preferisca una progressione narrativa più tranquilla rispetto ai suoi predecessori. Pur lanciandoci immediatamente in mezzo all’azione, infatti, la trama cresce in maniera delicata, e tutte le tessere del puzzle si combinano perfettamente solo alle battute finali; Naughty Dog, che non nasconde i suoi debiti culturali e stilistici verso la saga di Indiana Jones, ha deciso di usare questa chiusura della trilogia per decostruire la personalità di Drake, approfondendo il suo legame con Sully e i veri motivi che l’hanno spinto a diventare un cacciatore di tesori.
 
Incontriamo un Nathan meno spaccone forse, ma decisamente più umano e, con il progredire dell’avventura, verremo a conoscenza anche di alcuni particolari della sua infanzia davvero inaspettati e interessanti. Continuando il parallelo con Indy, vedendo come si evolve il rapporto fra Nate e Sully viene immediato (e siamo certi che molti giocatori lo noteranno allo stesso modo) pensare ad Harrison Ford e Sean Connery ne L’Ultima Crociata, quando sottotrama familiare ed epica action si uniscono in modo strepitoso. Uncharted 3 riesce a trovare lo stesso difficilissimo equilibrio, senza bisogno di sentimentalismi né di caricare troppo una trama che, fin dal primo episodio, fa dell’ironia un punto di forza.
 
Passando al lato più strettamente ludico, i Naughty Dog non hanno voluto cambiare l’ottimo gameplay sperimentato e affinato con i due capitoli precedenti. Aspettiamoci dunque sparatorie ancora più adrenaliniche, sezioni d’arrampicata e quick time event, il tutto inframezzato da ottimi enigmi che, più di una volta, richiederanno molto impegno per essere risolti. Dal seguire il percorso corretto per attivare un interruttore, fino all’uso coordinato di fuoco, lenti e ombre per risolvere un puzzle, i designer riescono a dar prova di una fantasia straordinaria che unisce un livello di sfida mai troppo basso ad una costruzione dei livelli che difficilmente diventa frustrante. Al di là dei singoli enigmi però quello che stupisce di più nella saga di Uncharted e che in questo terzo capitolo viene portato alle estreme conseguenze è l’eccellenza nella progettazione dei livelli. Ad oggi nessun action, su nessuna console, è in grado di rivaleggiare con L’Inganno di Drake per quanto riguarda la progressione delle mappe; ogni ambientazione, ogni stanza, ogni scenario da un momento all’altro può cambiare all’improvviso, proponendoci nuove sporgenze su cui saltare, pericoli inaspettati o, più semplicemente costrigendoci a guardare le cose da un’altra prospettiva. Senza voler anticipare nulla, ci limitiamo solo a descrivervi uno dei primissimi livelli, ambientato in uno chateau francese abbandonato. Dopo la prima esplorazione, tutta costruita sull’uso delle sporgenze architettoniche e sull’uso del mobilio per aprirci la strada, ci troveremo a vagare per dei sotterranei dimenticati, pieni d’acqua, trappole e altre amenità. Alla fine, quando pensiamo di avercela finalmente fatta scopriremo che un enorme incendio sta divorando l’intera costruzione per cui quella che fino a prima era un sottile ricamo di pietra in mezzo alle foreste delle Ardenne, si è trasformata in un inferno, fatto di fuoco, travi macilente e fumi tossici. E questo è solo l’inizio, Uncharted 3 tiene il giocatore attaccato allo schermo con centinaia di trovate una più esaltante dell’altra, fino all’epilogo che, anche qui, oltre a rappresentare il punto più alto dell’intera serie, diventerà automaticamente la nuova pietra di paragone per il futuro degli action occidentali.
Tuttavia, il gioco non è esente da qualche difetto che, purtroppo, colpiva anche gli episodi precedenti. L’IA dei nemici resta davvero mediocre e, solo a livello difficile, si comincia a vedere, specie nelle battaglie campali, qualche abbozzo di strategia, con i peones che cercano di circondarci evitando le nostre coperture. Nella maggioranza dei casi però i nemici sembrano semplici birilli da abbattere e l’unica vera differenza fra le varie difficoltà risiede nel numero di colpi che servono per neutralizzare tutte le minacce. Anche le telecamere, seppur molto migliorate rispetto agli episodi precedenti, soffrono ancora di qualche incertezza, non tanto per veri e propri errori di inquadratura quanto perché gli sviluppatori, alla costante ricerca dell’ottimo drammatico e scenografico, a volte hanno trascurato la comodità. Per questo motivo, su alcuni campi lunghi è molto difficile capire dove andare e, almeno in un paio di situazioni, si rischia di rimanere impigliati in burroni o trappole di cui non era possibile accorgersi. Questi difetti, in ogni caso, non pregiudicano assolutamente l’esperienza di gioco che rimane, come abbiamo già detto, uno dei punti di gamedesing più alti dell’intera generazione. Chiudendo questa breve analisi del gameplay non possiamo però non notare come Uncharted nel suo tentativo di avvicinarsi ai film, abbia rinunciato sempre di più all’interattività degli ambienti che, esclusi alcuni rari casi scriptati a dovere, non mostrano alcun segno di interazione. Una scelta legittima, intendiamoci, ma forse avremmo preferito – alle soglie del 2012 – un approccio meno conservatore.
Chiudiamo con una breve analisi del comparto multiplayer, sostanzialmente incanalato su un’evoluzione di quanto già visto in Il covo dei ladri, stavolta con l’aggiunta di alcune missioni cooperative (giocabili anche in locale) e una maggiore strutturazione dei perks e dei potenziamenti, ora inseriti in un sistema ispirato a quello classico degli FPS moderni. Al di la delle modalità classiche (deathmatch singolo e a squadre, cattura la bandiera e una sorta di horde a là Gears of War) e delle tante personalizzazioni disponbili, rimane però quel senso d’incoerenza che si respirava già nell’iterazione precedente. Le avventure di Nathan Drake nascono come apoteosi del single player e hanno costruito buona parte del proprio fascino sulla dicotomia “eroe senza macchia/centinaia di nemici”, l’inserimento di un multiplayer competitivo a squadre, snatura sia i personaggi che le ambientazioni, lasciando un sapore strano. Forse avrebbe avuto più senso permettere di giocare l’intera campagna in co – op magari controllando sia Nate che uno dei suoi compagni, con abilità e stili di gioco diversi. Chissà, magari una delle prossime incarnazioni del brand (di cui si parla già sottovoce negli ambienti specializzati) colmerà proprio questa lacuna. Per ora il multiplayer di Uncharted 3 rimane poco più che un passatempo.
 
Tecnicamente l’ultimo lavoro di Naughty Dog spinge ai limiti estremi l’hardware di Playstation 3 configurandosi come sia come prova provata della superiorità di Sony nel macinare poligoni su poligoni, sia come ennesima dimostrazione dell’eccellenza dei programmatori californiani, davvero ormai totalmente padroni della macchina su cui lavorano da sei anni. I deserti yemeniti, così come i bassifondi di Londra e le languide notti d’oriente sono uno spettacolo unico, pieno di dettagli, ombre e con un’orizzonte visivo che su console non s’era mai visto. Il tutto mosso da un motore grafico che, anche nelle scene più concitate, riesce a non perdere nemmeno un frame, confermandosi come l’assoluta eccellenza tecnica raggiungibile da questa generazione di macchine. Naughty Dog, grazie al supporto di Sony Picture Studios, ha dato vita a quelli che con tutta probabilità sono i personaggi più realistici della storia del gaming moderno, grazie a un motion capture estremo e all’incredibile tecnologia di riconoscimento facciale che muove gran parte delle cutscene. Per quanto riguarda la grafica in game, il discorso è esattamente lo stesso: su console non si è mai visto nulla di anche solo lontanamente paragonabile. L’intero capitolo finale del gioco (compresa l’ormai celeberrima scena del disastro aereo) è capace di far crollare qualsiasi mascella, anche quelle dei giocatori più stoici. Ovvio, tutta questa bellezza è controbilanciata da un’interattività pressoché nulla e da una ridottissima estensione degli ambienti (molto raramente ci capiterà di poter seguire più di una strada per raggiungere il checkpoint successivo), ma d’altronde i miracoli non si fanno mai, anzi, ci verrebbe quasi da dire che Uncharted 3 su Playstation è già di per se un mezzo prodigio.
Chiude l’analisi tecnica l’ottima colonna sonora, interamente orchestrata che ripropone alcuni brani, tema compreso, degli episodi precedenti e offre al giocatore alcune nuove composizioni assolutamente affascinanti. Ben fatto anche il doppiaggio, sia in inglese che – sorprendentemente – in italiano.
 
Concludendo, Uncharted 3 è la maggiore killer app disponibile ad oggi su piattaforma Sony e chiude in maniera perfetta la trilogia di quello che con tutta probabilità è il personaggio chiave di questa generazione di console (insieme forse a Master Chief). Avventura, stile, epos e divertimento si fondono nei due millimetri di spessore del bluray garantendo un’esperienza che – ne siamo certi – rimarrà nei cuori dei giocatori a lungo.
 
VOTO9.5