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Ubisoft, sempre attenta ai corsi e ricorsi storici, non poteva scegliere un momento migliore per rilanciare in grande stile la sua mascotte storica: quel Rayman che, dopo due ottimi capitoli si era perso con il terzo episodio, finendo addirittura a fare da personaggio da contorno nella saga dei folli rabbids.

Michel Ancel torna alle origini della sua creatura, con un platform straordinario.

Questa generazione, oltre a segnare il trionfo degli FPS come genere ludico di riferimento, sembrava pure destinata a seppellire alcune tipologie di gioco ormai incapaci di rinnovarsi e reinventarsi. I platform bidimensionali sembravano essere le prime vittime da far incamminare verso il plotone. La grafica in due dimensioni, infatti, è costosissima in alta definizione e, come se non bastasse, il desing di un buon platform può essere decisamente complesso, soprattutto perché ogni sviluppatore sa che i parametri con cui confrontarsi risalgono alla notte dei tempi, ai primi esperimenti di Nintendo, quando non alla frenesia blu di Sonic a 16 bit. Tuttavia però il successo dei due New Super Mario Bros, la diffusione carsica ma pervasiva del gaming indie (su tutti, lo straordinario – e difficilissimo – Super Meat Boy), e lo straordinario Donkey Kong Country Returns, hanno dimostrato che le vecchie piattaforme su cui saltare hanno ancora qualcosa da dire, anche e soprattutto ai giocatori moderni.

Ubisoft, sempre attenta ai corsi e ricorsi storici, non poteva scegliere un momento migliore per rilanciare in grande stile la sua mascotte storica: quel Rayman che, dopo due ottimi capitoli si era perso con il terzo episodio, finendo addirittura a fare da personaggio da contorno nella saga dei folli rabbids. Interamente sviluppato con l’ausilio dell’engine proprietario UbiArt, Origins vede il ritorno di Michel Ancel nella cabina di comando, mentre la nostra “melanzana” senza né braccia né gambe dovrà vedersela contro i terribili Darktoon, mostruose creature nate dagli incubi del Bubble Dreamer, benevolo signore della radura dei sogni e padre di tutte le creature che la abitano.
Rayman Origins, fin dalle primissime battute è uno spettacolo per gli occhi e per le orecchie, tutto disegnato in uno spettacolare fullHD a 60 frame per secondo,  il gioco rivaleggia con i migliori cartoon non cedendo nemmeno per un minuto alla tentazione di usare i poligoni e proponendoci uno stile grafico interamente disegnato a mano, sia per quanto riguarda gli sfondi che per i personaggi. Il risultato, manco a dirlo, è qualcosa di paragonabile forse solo al salto che ci fu con il primo Donkey Kong Country su SuperNES. Rayman Origins alza l’asticella di quello che si può fare (o non fare) con la grafica bidimensionale a un nuovo livello, mischiando una perizia tecnica non comune – per tutto il gioco non si avverte mai il minimo rallentamento – a una struttura estetica ispirata come poche. Dagli atolli tropicali, fino agli antri bollenti di un vulcano, Origins è una continua sorpresa, capace senza problemi di passare dall’ambientazione steampunk di certi livelli, alle vette innevate di altre sequenze, mantenendo un livello qualitativo che, davvero, non vedevamo da tempi remoti. Anche il sonoro svetta a livelli di pura eccellenza, con un’accompagnamento musicale personalizzato per ogni singolo mondo e il perfetto adattamento dinamico del sound alle prodezze acrobatiche del nostro protagonista.
Dal punto di vista meramente ludico, Origins spicca per un altro motivo: è difficile. Non difficile nel senso di inutilmente frustrante o dispersivo, difficile nel senso che, una volta completati i primi quattro mondi, le sfide successive richiedono qualcosa in piu del semplice impegno per essere portate a termine. Ogni livello, con la sua carrellata di percorsi segreti, salti, nemici da evitare e trappole nascoste, dovrà essere memorizzato alla perfezione per poter essere completato con un numero decente di lum (degli esserini simili a lucciole che, nel gioco, hanno una funzione equivalente alle monete di Mario o agli anelli di Sonic). Origins concede molto poco alla disattenzione anche se, complice la scelta francamente inspiegabile, di dare al giocatore un numero infinito di vite, il senso di sfida, per quanto sempre elevato, non sfocia mai in quel sano terrore che chiunque abbia giocato un qualsiasi platform degli anni ‘90 ricorda. Arrivare alla fine di un livello, con zero vite, nessun “continue” a disposizione, e un checkpoint tre schemi prima è stato un incubo ricorrente di molte nottate a base di Super Mario e Sonic. Purtroppo in Rayman questo elemento viene meno, per questioni di appeal al pubblico meno esperto, senza dubbio, tuttavia non possiamo non notare come ormai pochissimi sviluppatori abbiano il coraggio di offrire ai videoplayer più esperti una sfida che in qualche modo non sia accomodante.

A onor del vero, molto di quello che si vede nel gioco non spicca per grande originalità, i rimpicciolimenti con modifica dell’inerzia, gli spostamenti di prospettiva e i livelli giocati in silhouette abbiamo imparato a conoscerli e apprezzarli da qualche anno, Origins però nasconde in maniera furba le sue ispirazioni e mette in risalto aspirazioni non da poco. Con un level design ispirato dalle stesse divinità che diedero i natali ai capolavori Nintendo degli anni ‘90 e il suo stile grafico da cartoon, Rayman sale (salta?) sul trono generazionale dei platform, fissando un’asticella qualitativa di cui tutti dovranno tenere conto, soprattutto in quel di Kyoto.

VOTO9