Cinquecento anni fa, il capo d’un esagono superiore trovò un libro tanto confuso come gli altri, ma in cui v’erano quasi due pagine di scrittura omogenea, verosimilmente leggibile. […] Questo pensatore osservò che tutti i libri, per diversi che fossero, constavano di elementi eguali: lo spazio, il punto, la virgola, le ventidue lettere dell’alfabeto. Stabilì, inoltre, un fatto che tutti i viaggiatori hanno confermato: non vi sono, nella vasta Biblioteca, due soli libri identici. Da queste premesse incontrovertibili dedusse che la Biblioteca è totale, e che i suoi scaffali registrano tutte le possibili combinazioni dei venticinque simboli ortografici (numero, anche se vastissimo, non infinito) cioè tutto ciò ch’è dato di esprimere, in tutte le lingue. Tutto: la storia minuziosa dell’avvenire, le autobiografie degli arcangeli, il catalogo fedele della Biblioteca, migliaia e migliaia di cataloghi falsi, la dimostrazione della falsità di questi cataloghi, la dimostrazione della falsità del catalogo autentico, l’evangelo gnostico di Basilide5 , il commento di questo evangelo, il commento del commento di questo evangelo, il resoconto veridico della tua morte, la traduzione di ogni libro in tutte le lingue, le interpolazioni di ogni libro in tutti i libri. Quando si proclamò che la Biblioteca comprendeva tutti i libri, la prima impressione fu di straordinaria felicità. Tutti gli uomini si sentirono padroni di un tesoro intatto e segreto.

[J. L. Borges, La biblioteca di Babele in “Finzioni”, 1941]

 

In uno dei suo racconti più famosi Borges immagina una biblioteca immensa, tanto grande da somigliare a un intero universo. Le infinite sequenze di scaffali – divise ognuna in sezioni a forma di esagono – contengono ogni possibile combinazione dei 25 caratteri tipografici latini e, perciò tutta la conoscenza possibile. I volumi però non rispondono alla logica umana, milioni e milioni di pagine contengono solo sequenze di lettere senza senso e ritrovare anche solo due parole di senso compiuto risulta un evento straordinario. Per questo motivo i misteriori abitanti di questo universo/biblioteca vivono un’esistenza drammatica, cercando di scoprire libri sempre nuovi e segreti via via più profondi finiscono per impazzire o per invecchiare disillusi e soli.

No Man's Sky screenshot

No Man’s Sky – screenshot

Borges usa il paradosso della Biblioteca di Babele per analizzare il rapporto fra letteratura, lingua e storia: se davvero esistesse una biblioteca capace di contenere “tutto ciò che è dato esprimere in tutte le lingue” significherebbe che, in qualche modo, l’arte non è infinita. Ma se la letteratura avrà una fine allora come può la storia – e dunque il tempo – avanzare per sempre? L’anonimo protagonista del racconto risolve il paradosso comprendendo, in punto di morte, che:

La Biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l’Ordine).

“i pianeti di No Man’s Sky finiscono velocemente per somigliarsi tutti”

Ma cosa c’entra il maestro della letteratura argentina con No Man’s Sky? C’entra perché come il bibliotecario di Babele, anche il nostro cosmonauta è una piccola entità chiamata a esplorare un universo quasi incomprensibile dove la matematica (nel caso del gioco di Hello Games, l’algoritmo procedurale segreto) domina dal particolare al generale. Tuttavia, proprio come nel racconto, la gioia si trasforma ben presto in delusione. Se pagine sensate sono gocce di inchiostro immerse in oceani di inutilità, anche i pianeti di No Man’s Sky finiscono velocemente per somigliarsi tutti, distese più o meno aride con occasionali rilievi, risorse da raccogliere e una fauna – quando presente – riconducibile a quella decina scarsa di caratteristiche base. Scoprire un mondo lussureggiante, con foreste, prati e dolci declivi è piacevole ma, alla lunga, l’effetto Borges vince sulla voglia di esplorare. A rendere l’esperienza ancora più surreale sono i vari punti d’interesse sparsi fra le stelle: entrando in ogni nuovo sistema solare troveremo sempre una stazione orbitante, qualche asteroide e un numero variabile di pianeti, ognuno dotato sempre delle stesse strutture. Inferni di lava, mondi infestati da animali felici, immense praterie, nulla cambia mai, gli avamposti saranno sempre tutti uguali, le fabbriche saranno sempre tutte uguali e pure gli alieni senzienti si somiglieranno.

No Man's Sky screenshot

No Man’s Sky – screenshot

Il peregrinare fra i 18 quintilioni di sistemi stellari diventa terribilmente simile agli insensati viaggi fra un esagono e l’altro della Biblioteca di Babele: ogni stanza promette di svelare qualcosa di nuovo ma, irrimediabilmente, sembra ricondurre sempre nello stesso luogo, a fare le stesse cose. No Man’s Sky rappresenta l’apoteosi di una certa tendenza del game design contemporaneo che vede la componente tecnologica primeggiare rispetto a quella ludica: l’immensità galattica creata da Hello Games non serve quasi a nulla, non aggiunge niente al gameplay ma finisce per soffocare tutto il resto. Obnubilati dalla potenza del loro algoritmo matematico, gli sviluppatori hanno dimenticato di riempire il loro universo di un senso, allo stesso modo in cui i bibliotecari di Babele, schiacciati dalla perfezione geometrica degli scaffali cercano la verità nei libri già scritti anziché produrne di nuovi.

I limiti veri del progetto di Sean Murray sono tutti in questa tensione fra struttura e sovrastruttura, il resto sono trivialità abbondantemente perdonabili; certo, forse l’inventario si poteva gestire in maniera più razionale e il motore grafico a tratti zoppica ma si tratta di “problemi” abbondantemente correggibili con un paio di patch. No Man’s Sky fallisce nel momento in cui il giocatore si accorge che i suoi segreti non possono mai davvero essere penetrati perché, molto banalmente, non ce ne sono, tutto risponde alle fredde logiche matematiche già evidenti sul primo pianeta che esploriamo, sotto la superficie non c’è niente e, allora, per chiudere sempre con Borges, anche l’atto del giocare diventa inutile perché:

la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta.

VOTO6
Tipologia di gioco

No Man’s Sky è una simulazione spaziale che prova a unire il sistema di crafting dei vari Minecraft e Terraria con un universo pressoché infinito generato proceduralmente.

Come è stato giocato

Abbiamo giocato No Man’s Sky grazie a una copia PlayStation 4 gentimente fornitaci da Sony. Il gioco è disponibile anche su Steam ma soffre di gravi inconvenienti tecnici che, almeno per ora, lo rendono quasi ingiocabile. Su console, una volta installata la patch iniziale, non abbiamo avuto alcun problema.