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L. A. Noire è una metafora di se stesso; un enorme costruzione ludica, tenuta insieme dall’ambizione e dalla lucida follia di poche persone, McNamara in testa, insieme ai suoi più fedeli collaboratori

Team Bondi finalmente porta a termine la sua opera. Ma ne sarà valsa la pena?

 

L. A. Noire è stato il gioco più chiacchierato del 2011 e per buona parte dello scorso decennio. Presentato nel 2005, come esclusiva Sony, da un quantomai energico Brendan McNamara, all’epoca neofondatore di Team Bondi e già producer del discusso The Getaway, lo sviluppo del gioco si è protratto prima per un anno, poi per due, infine sembrava essere stato definitivamente cancellato, mentre nel frattempo si rincorrevano voci più o meno confermate riguardo incredibili tecnologie di motion scanning e su un gameplay basato sulla realtà degli anni ‘40/’50. Nel 2008, a seguito dell’abbandono di SCEI, Rockstar decide di raccogliere il progetto che, una volta messo sotto strettissima sorveglianza, viene interamente riscritto con il motore grafico RAGE (lo stesso di GTA IV e Red Dead Redemption) e presentato ufficialmente alla stampa specializzata.
Oggi, finalmente, l’opera di McNamara è arrivata nei negozi. 
Sarà vera gloria?
 
La notte di Los Angeles è un’amante difficile da abbandonare. Scura ma affascinante, tenebrosa ma seducente, buia ma calda. Calda come le gomme delle auto che si consumano sulle infinite tangenziali che, come cicatrici, attraversano da parte a parte il corpo della città. Calda come il sangue dei veterani di ritorno dall’Asia o dall’Europa, poco più che ventenni ma già stanchi delle miserie umane. Calda come il sangue di una ragazzina uccisa e stuprata da chi le aveva promesso una grande carriera cinematografica. Calda come l’ambizione.
Colpe Phelps è giovane ma di certo non è un ingenuo, eroe di guerra sul fronte orientale e recluta dell’LAPD, conosce tutti gli angoli bui di Los Angeles ma non desidera infilarcisi. Di schifezze ne ha viste già abbastanza in guerra, ora, in tempo di pace, vuole solo rifarsi una vita, vivere con la sua bella moglie e – se possibile – fare un po’ di carriera nell’amministrazione cittadina.
 
Ma si sa, la città degli angeli perdona tutto tranne la modestia.
 
L. A. Noire è una metafora di se stesso; un enorme costruzione ludica, tenuta insieme dall’ambizione e dalla lucida follia di poche persone, McNamara in testa, insieme ai suoi più fedeli collaboratori. Né free roaming puro, né action, né avventura grafica, il gioco di Team Bondi trascende le definizioni classiche e sbatte in faccia al videoplayer un’esperienza del tutto nuova, capace di coinvolgere, ma anche imperfetta come solo i grandi esperimenti sanno essere. Il primo impatto con L. A Noire è straniante, alziamo lo sguardo e vediamo l’immensa città aprirsi intorno a noi, mentre il marciapiede polveroso ci chiama e la nostra divisa da poliziotto ci ricorda come la legge non sia sempre esattamente sovrapponibile alla giustizia. Senza addentrarci nella descrizione dei singoli casi che incontreremo, il pattern da seguire è più o meno sempre lo stesso: partendo dall’indagine sulla scena del crimine, dovremo raccogliere quanti più indizi possibile per avere in mano una traccia, un nome, o un volto perso nella nebbia. Durante questa fase, per aiutare i giocatori meno esperti, il Team Bondi ha scelto di indicare l’avvicinarci di un indizio con una vibrazione del pad: più la vibrazione aumenta, più ci staremo avvicinando all’agognata prova. Questo meccanismo, per quanto molto utile in alcuni casi, rischia di semplificare troppo le indagini. Dal canto nostro, ma questo è un inciso personale, abbiamo disattivato tutti gli aiuti rendendo l’esplorazione molto più impegnativa (a tratti pure troppo) ma decisamente più appagante. Il Team Bondi ha saputo costruire questa fase “investigativa” in maniera magistrale, permettendo al giocatore di decidere in piena autonomia quali e quanti indizi raccogliere prima di tornare in centrale. Per esempio, se su una scena del crimine ci sono in totale dieci indizi, noi potremo setacciare il setting centimetro per centimetro sperando di raccoglierli tutti, oppure limitarci a un’occhiata superficiale trovarne un paio e in base a quelli fare le nostre deduzioni. In questo senso L. A. Noire è molto abile nel dare l’impressione della libertà senza tuttavia concederla realmente, nonostante tutti i nostri sforzi, infatti, le varie missioni hanno una e una sola conclusione possibile e l’intero gioco, pur sembrando composto da centinaia di piccoli bivi, in realtà è un’unica, enorme autostrada che ci guida quasi per mano verso il finale.
Una volta completata l’investigazione, si passa al vero cuore pulsante dell’opera di Team Bondi, gli interrogatori ai sospetti. Costruiti come nei classici cinematografici degli anni ‘50, questi momenti sono ludicamente, a metà fra i dialoghi di un RPG e l’uso degli oggetti tipici delle avventure grafiche, usando il nostro intuito e le note sul taccuino (ottenute grazie agli indizi che avremo raccolto), dovremo capire quando un sospettato sta dicendo la verità e quando mente. Ogni volta che sceglieremo l’opzione giusta sentiremo un leggero scampanellio, in modo tale da capire almeno vagamente come stiamo andando. Dal punto di vista tecnico la tecnologia sviluppata da Team Bondi è magistrale e apre a innumerevoli applicazioni future; i sospetti, così come Cole e i suoi colleghi, sembrano vivi, si muovono e ogni smorfia che appare sul loro volto potrebbe essere il segno di una menzogna, o di una mezza verità nascosta. Certo, a tratti le movenze sembrano fin troppo caricate e più che a un thriller sembra di assistere a un mediocre vaudeville, tuttavia la tecnologia è fantastica e certamente darà grandi soddisfazioni anche in futuro.
Al di fuori di queste due fasi, L. A. Noire si comporta come un onesto action/free roaming, con sparatorie (gestitie con lo stesso sistema di puntamento di GTA IV), inseguimenti in auto e qualche momento secondario in cui ci verrà richiesto di risolvere un paio di quest secondarie, come una rapina in banca o qualche pirata della strada. Tanto la trama principale è curata e affascinante, tanto queste side – quest appaiono però posticce e poco intriganti, come se – a un certo punto – gli sviluppatori si fossero resi conto di avere a disposizione una città enorme ma pressoché vuota, quasi senza senso al di fuori di quei quattro/cinque luoghi da visitare durante l’avventura di Cole Phelps. In L. A. Noire Los Angeles non è una co – protagonista come Liberty City in GTA, ma è una scenografia; un’enorme, bellissima e raffinata scenografia, muta fin quando gli attori principali non salgono sul palco.
L. A. Noire è difficilissimo da giudicare: momenti di genio puro si alternano ad altri che pagano lo sviluppo travagliato e la mancanza – a tratti – di un controllo di qualità costante e preciso. Il gioco più che un capolavoro mancato è un monumento alle ambizioni frustrate di un team di straordinario talento ma incapace di canalizzarlo verso un solo obiettivo. Come la città che ha saputo tanto bene ricostruire e raccontare, L. A. Noire è una fiamma che brucia troppo in fretta, bellissima da guardare ma effimera come solo i sogni sanno esserlo. McNamara e i suoi hanno regalato a questa generazione spesso priva di veri guizzi geniali alcuni momenti di poesia pura, tuttavia per quanto le gemme imperfette siano a volte più preziose degli anelli di gioielleria, un po’ di amaro in bocca rimane. Per tutte le promesse, ma anche per tutte le speranze.
VOTO9