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Dal punto di vista tecnico, Epic è riuscita nell’impresa di affinare ancora di più il suo Unreal Engine proponendo una grafica di altissimo livello nonostante l’età del motore, ormai avviato verso i sei anni di vita.

Ecco la nostra recensione di Gears of War 3.

Le grandi responsabilità spaventano chiunque. Anche chi è troppo orgoglioso per ammetterlo. Anzi, chi è troppo orgoglioso per ammetterlo – di norma – è il più spaventato di tutti. Cliff Blezinsky è il classico spaccone a cui nessuna persona dotata di senso pratico affiderebbe alcun lavoro impegnativo. Tuttavia questo ragazzo cresciuto a Diet Coke e console giapponesi è stato capace di regalare a Microsoft la sua icona generazionale (mi spiace, caro Spartan IV, ma Halo è nato lo scorso decennio) e ha reinventato i TPS, togliendoli dalla formalina e adattandoli alla frenesia del gaming moderno. Gears of War è più di un semplice gioco, è la colonna su cui Microsoft ha poggiato buona parte della sua brand identity, mentre Epic ci ha costruito sopra le moderne fortune dell’Unreal Engine oggi standard de facto dell’intera industria.
Nel 2007 ci avvicinammo alla prima avventura di Marcus Fenix con la diffidenza di chi era convinto di averne viste troppe per rimanere ancora impressionato; oggi, il finale della saga, ci trova più anziani e sarebbe disonesto non ammettere che gran parte della modernità videoludica è stata forgiata, a colpi di Lancer, da CliffyB e dai suoi collaboratori.

Gears of War 3 prende le mosse qualche mese dopo la fine del secondo capitolo. Sera è diventato se possibile un posto ancora più inabitabile di quanto già non fosse. D’altronde dopo aver lanciato un fascio laser ad altissima temperatura sopra la capitale del pianeta (nel primo gioco) e usato una decina di testate termonucleari per distruggere i tunnel delle locuste (in Gears 2), qualsiasi ecosistema subirebbe dei leggeri sconvolgimenti. Come se non bastasse l’uso eccessivo di Imulsion (il preziosissimo carburante che Umani e Locuste si contendono fin dalla prima colonizzazione del pianeta), ha contaminato buona parte delle specie viventi, creando i mostruosi “splendenti”, ovvero locuste mutanti estremamente feroci e selvagge. Il fronte di battaglia dunque non è più definito, mentre Gears e alieni si fronteggiano, una nuova minaccia rischia di distruggere entrambi: l’inquinamento da emulsion e la contaminazione totale.
Come dicono gli storici, però, se Atene piange, Sparta non ride e infatti anche gli umani hanno pochissimo da stare allegri; ridotti ormai a poche migliaia di profughi, quello che resta dei Governi Coalizzati è poco più di un’armata di disperati, con civili da sfamare e infrastrutture sempre più fatiscenti, mentre la guerra sembra avviarsi verso uno stallo difficilissimo da sostenere sul lungo periodo. Improvvisamente però, un misterioso disco dati finisce nelle mani di Marcus: contiene un messaggio di suo padre, il dottor Adam Fenix, dato per morto da quasi vent’anni, e, invece, segretamente recluso nella fortezza di Azura, segretissimo bastione dell’umanità e ultimo avamposto abitabile di tutto il pianeta. Come se non bastasse, il dottor Fenix sostiene di essere in grado di curare l’infezione da imulsion prima che questa contagi tutto il pianeta, ma il tempo è poco e non è detto che i Gears (o quello che ne resta) siano in grado di farsi strada fino ad Azura. Marcus, insieme ai suoi storici commilitoni – cui si aggiungono, per la prima volta, due fanciulle che, decisamente, sanno il fatto loro – decide di affrontare quest’ultima missione, ben sapendo che, in un modo o nell’altro, questa sarà la battaglia finale.

Gears of War non è mai stato celebrato per la sua trama che, volutamente, ricalca tutti gli stereotipi più beceri della fantascienza epica e questo terzo episodio non fa eccezione. L’intera vicenda si dipana senza strappi e senza troppi colpi di scena fino allo scontato finale che, tuttavia, lascia un po’ l’amaro in bocca dato che, per tutto il gioco, i creativi di Epic erano riusciti a costruire una dicotomia credibile fra gli umani e le locuste: entrambi lottano per la sopravvivenza della propria specie. Chi è dalla parte della ragione? Peccato che questa bella chiave di lettura venga totalmente spazzata via, a favore di una conclusione certamente epica, ma forse troppo facile.
Il cuore ludico di Gow, comunque, continua a battere più forte che mai e tutti i giocatori in attesa del nuovo re delle coperture non avranno di che lamentarsi, questo nuovo capitolo perfeziona ulteriormente il già ottimo gameplay basato su avanzamento e protezioni, eliminando praticamente tutti i difetti legati al movimento del personaggio (ogni tanto nei capitoli precedenti capitava che il nostro Marcus andasse a nascondersi dietro ai muri, peccato si mettesse dalla parte sbagliata!) e garantendo un tasso di sfida sempre appagante anche ai livelli di difficoltà più bassi. Ai giocatori esperti consigliamo comunque di intraprendere l’avventura scegliendo l’opzione più impegnativa. Forse qualche passaggio sarà leggermente più duro, ma il gioco ne guadagna sia in longevità che in passione, dato che a Facile l’intera campagna singola si porta a casa in sei, massimo sette ore. Già a normale invece gli scontri con i boss (su tutti i leviatani) si fanno decisamente impegnativi e la sopravvivenza nostra e della squadra non sarà mai del tutto scontata. In questo senso diamo una menzione d’onore all’IA dei compagni di squadra, molto precisa, attenta alle coperture e quasi mai fastidiosa rispetto all’azione di gioco. Solo in un paio di casi ci è capitato di trovarci Dominic o qualcun altro sulla linea di tiro ma, tutto sommato, rispetto agli episodi precedenti si tratta decisamente di un passo avanti non da poco. Appena sufficiente invece l’intelligenza dei nemici che, se a livello difficile cominciano a mostrare una parvenza di tattica e un comportamento abbastanza aggressivo, di norma non si schiodano quasi mai dalle proprie posizioni, quasi aspettando la lama rotante del nostro Lancer. I momenti più duri, in ogni caso, sono quelli in cui dovremo affrontare gli splendenti che, oltre ad incassare molti più colpi delle locuste normali, dovranno essere colpiti solo in determinati punti del corpo e avranno la fastidiosa tendenza ad esplodere prima di morire, facendo molto male a chiunque si trovi intorno a loro. Al di fuori della classiche sparatorie, GoW 3 mostra la crescita (anche nei budget) di Epic, durante tutto il gioco infatti, quando non saremo impegnati a premere il grilletto, guideremo camion, faremo lavori “di fatica” ai comandi di alcune armature semiarmate e dovremo dare il meglio di noi in un paio di sezioni in cui la nostra squadra sarà cinta d’assedio sia su posizioni fisse che in movimento.
Come sempre l’intera avventura è giocabile anche in cooperativa fino a quattro giocatori (sia in locale che su XboxLive) e consigliamo a chi ne ha la possibilità di preferire questa modalità anziché la classica modalità in singolo, dato che il divertimento raddoppia se condiviso con un amico. Per quanto riguarda il multiplayer competitivo preferiamo non approfondire troppo il discorso, rimandando un commento più profondo a un articolo specifico dedicato al multigiocatore.

Dal punto di vista tecnico, Epic è riuscita nell’impresa di affinare ancora di più il suo Unreal Engine proponendo una grafica di altissimo livello nonostante l’età del motore, ormai avviato verso i sei anni di vita. L’archiettura di Sera, con le sue pianure desertiche e le sue città bizantine, costruite una sopra l’altra con un incredibile pastiche di stili e suggestioni, vive più che mai, senza nessun paragone con i due capitoli precedenti. L’orizzonte visivo e il livello di dettaglio che Epic è riuscita a proporre su una console che – oggettivamente – comincia a mostrare i suoi limiti, fanno capire perché il settanta per cento dei giochi occidentali moderni facciano affidamento sulle tecnologie di Epic. Gears of War 3 è la miglior tech demo possibile per l’engine di Blesinzky e soci, ma, ad oggi, l’Unreal Engine è come quei vecchi campioni ancora capaci di dire il fatto loro. Durerà qualche mese, un anno forse, ma i limiti ormai sono decisamente evidenti.

Gears of War 3 chiude in bellezza la trilogia che ha definito questa generazione in casa Microsoft e lo fa con tutto quello che l’ha caratterizzata negli ultimi anni. Un divertimento che non cerca di diventare diverso da quello che è sempre stato, ovvero una sana dose di machismo e sparatorie pensata solo ed esclusivamente per esaltare noi giocatori cresciuti con Contra nel tray della console, i film di Stallone in VHS e Action Man nel cesto dei giocattoli.

VOTO9