Lo stile di scrittura di Henry James, fatto di lunghe frasi piene di arzigogoli e pomposità, male si concilia con lo stile di regia di Mike Flanagan, sempre diretto al punto. Il regista usa le immagini per arrivare al succo del discorso nella maniera più semplice ed efficace. Toglie ogni barocchismo, semplifica (a volte troppo), riconduce all’essenziale. Lo scrittore del Giro di vite, da cui è liberamente ispirata la serie The Haunting of Bly Manor, da poco disponibile su Netflix, contorce invece l’animo umano con la sua prosa e, così facendo, ne trova le sfumature.

È questa l’unica incompatibilità tra uno dei romanzi di fantasmi più influenti di sempre (trasposta in infinite opere, tra cui Suspense, Improvvisamente, un uomo nella notte) e la poetica del regista horror. Il resto è invece un’affinità quasi elettiva, una comunione di intenti totale che fa di Flanagan un vero e proprio erede cinematografico dello scrittore.

Il giro di vite (romanzo) appartiene al filone gotico horror, scritto sul finire dell’età Vittoriana, nel 1898. Venne pubblicato a puntate sulla rivista Collier’s Weekly; un dettaglio non irrilevante quando si parla di una trasposizione in forma di serie tv. Si tratta di un racconto nel racconto, una storia di Natale fatta di bene che si affaccia sul male, ricerca di redenzione e innocenza. La storia ha origine da un narratore interno che legge un manoscritto la Vigilia di Natale. Le pagine raccontano di Miss Giddens, istitutrice dei due orfani Miles e Flora. La donna arriva nella loro dimora dove fa la conoscenza della governante, Mrs. Grose, e di due strane presenze.

Due fantasmi che abitano la casa e che sembrano particolarmente interessati ai due giovani. Sono Miss Jessel e Peter Quint, istitutrice e maggiordomo che avevano abitato la casa anni prima. Due personalità deviate, due amanti perversi che hanno corrotto le anime dei bambini.

 

Giro di vite

I fantasmi di Henry James sono quindi estremamente in sintonia con quelli di Flanagan. Non sono visioni orrorifiche, per lo meno superato il primo impatto della visione di un anima senza pace. Sono, appunto, immagini del passato mai superate. Sono presenze di una vita che non c’è più. In loro c’è l’orrore del ricordo, e non il pericolo di quello che potrebbero fare nel futuro.

La paura, nel Giro di vite, viene elaborata da Miss Giddens e infine superata. Quello che si presenta concreto è invece il labile confine con la follia. Si diceva del gioco retorico del narratore interno che racconta una storia scritta da altri. Il punto del romanzo è proprio questo: l’attendibilità del vissuto. 

L’operazione è molto simile a quella che, molti anni dopo, farà William Friedkin con l’Esorcista. Non importa che ci siano fantasmi o il demonio stesso, il meccanismo gotico dell’orrore viene innescato dall’apprendere che la realtà convenzionale cela un segreto oscuro. Miles e Flora, proprio come Regan, terrorizzano il mondo degli adulti proprio perché indecifrabili. I due bambini del romanzo, ben rappresentati su schermo da Jack Clayton in Suspense (The Innocents), sono l’archetipo dell’infante consapevole. Giovani vite che sembrano possedere una conoscenza assimilabile con quella del mondo adulto. Miles e Flora sanno qualcosa di terribile, hanno conosciuto il male, e per questo sono in grado di manipolare chi si deve prendere cura di loro.

Giro di vite

Il giro di vite presenta inoltre un tema molto caro al cinema: la visione inattendibile. Cosa vediamo tra le ombre la notte? È un volto o l’ombra di un albero? La figura della protagonista resta per tutto il romanzo tanto misteriosa e complessa quanto i bambini. Salvatrice o carnefice, insegnante capace di crescere le giovani vite o gelosa di chi l’ha preceduta? Allo stesso modo The Haunting of Hill House mostrava le presenze dei fantasmi non come mostri, ma come angoli della psiche. 

Il fenomeno paranormale non è più spaventoso dell’ambiguità dei rapporti, dei giochi di vite, di posizione, che regolano il vivere sociale. Le usanze, il galateo, le abitudini dell’alta borghesia sono convenzioni che, quando sconvolte, aprono all’ignoto. È naturale quindi che il cinema abbia attinto così tanto al romanzo di James, cercando di adattarlo ai tempi correnti. Slegando la paura dal mostro-fantasma, rendendolo un’anima inquieta per cui è facile provare anche pena, James trasporta il racconto in una dimensione archetipica. 

In ogni tempo e in ogni spazio, le persone che abbiamo accanto possono sembrare totali estranei. In ogni luogo della terra le persone del passato lasciano una traccia nel futuro. A volte i ricordi ritornano sotto forma di fantasmi che spingono a insane azioni. A volte ritornano come persone con cui si condivide la stanza. Altre volte ritornano come immagini. Come film o romanzi che chiedono di completare con la fantasia i non detti e i non visti; specchi inattendibili in cui chiunque può immaginare se stesso.