The Stand: la recensione della serie tv

Qualcuno ha pensato che fosse una buona idea quella di raccontare la storia di L’ombra dello scorpione in modo non lineare. Non lo era, e molti dei tanti problemi di questa serie tv derivano proprio da questa scelta. Basata su uno dei romanzi migliori di Stephen King, The Stand doveva essere il fiore all’occhiello nella nuova offerta della piattaforma CBS All Access, ma il risultato finale non rende giustizia all’opera originale e non funziona di per sé.

La storia di The Stand è ambientata in un mondo che viene colpito da una pandemia che riduce quasi all’estinzione la razza umana. I sopravvissuti vengono richiamati attraverso dei sogni verso due luoghi diametralmente opposti. Il primo, quello dei buoni, guidato dalla pacifica e religiosa madre Abagail, e il secondo, quello dei cattivi, dominato dal diabolico Randall Flagg. Questa è la storia corale di tantissimi personaggi, tra i migliori e più umani che siano usciti dalla penna di Stephen King: Stu Redman, Frannie Goldsmith, Nick Andros, Tom Cullen, Larry Underwood, Glen Bateman.

Meglio sgomberare il campo da dubbi. Non dovremmo cadere nella tentazione di tracciare un paragone tra la pandemia della storia e le vicende attuali. Il romanzo di King non ha un valore profetico, ed è fin dal titolo originale una vicenda che parla di resistenza, sopravvivenza, della necessità umana di aggrapparsi ai valori più alti per poter andare avanti. Non è la fredda cronaca di un disastro globale. E in ogni caso questa miniserie che può contare su un cast davvero impressionante è stata concepita prima del 2020 e non ha quelle intenzioni. Il difficile allora è capire il ragionamento creativo che ha condotto a una proposta del genere.

In tutta la prima metà della miniserie The Stand gli eventi sono raccontati saltando da un momento all’altro nel tempo, senza soluzione di continuità e senza una motivazione apparente. I personaggi sono raccontati prima, durante e dopo la pandemia, i piani temporali sono mescolati, la struttura delle storie nelle puntate è quasi casuale. Raccontare una storia per flashback è possibile. Lost è l’esempio più banale e più facile da fare, ma in quella serie il flashback aveva un preciso scopo rivelatorio che dialogava con gli eventi del presente e dava loro un senso. In The Stand questo non succede, e anzi l’effetto è negativo. La storia è spogliata di ogni sua tensione, sappiamo chi arriverà da madre Abagail, come ci arriverà e con chi.

Spesso le conseguenze precedono le cause. E non è che quando queste arrivano il quadro sia poi così chiaro, perché la scrittura di personaggi e situazioni non è mai così profonda. La miniserie del 1994 durava meno della metà di questa e, con tutti i suoi difetti, faceva un lavoro migliore nel costruire empatia con i protagonisti. Qui, dopo nove puntate, questi personaggi che hanno superato la fine del mondo rimarranno superficiali e distanti.

Nessuno nel cast emerge davvero, o per troppa superficialità (lo Stu di James Marsden) o per mancanza di sottigliezza (il Flagg di Alexander Skarsgard). Ma questa rimane una serie dal potenziale enorme in cui davvero nessuno appare a suo agio, e considerato il cast vuol dire tanto: Odessa Young, Whoopi Goldberg, Amber Heard, Greg Kinnear, Jovan Adepo, J.K. Simmons, Ezra Miller e altri. Ultima annotazione: spesso si dice che le storie vengono trasformate in serie tv quando un film sarebbe andato più che bene. The Stand è una delle pochissime eccezioni in cui forse una divisione in stagioni, che magari rispettasse la divisione in tre parti del romanzo, avrebbe reso giustizia alla storia. In ogni caso, questo non era il migliore degli adattamenti possibili.