Framing Britney Spears è il documentario prodotto dal New York Times e trasmesso negli Stati Uniti da FX ed Hulu, che racconta la situazione legale nella quale Britney Spears si trova da 13 anni, con suo padre Jamie a farle da amministratore di sostegno, in pieno controllo della sua fortuna, salute e carriera.

L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO (CONSERVATORSHIP) NEGLI USA

Quando una persona viene reputata inabile a prendere decisioni per se stessa, a causa di una malattia mentale o dell’età avanzata, un giudice può nominare un amministratore di sostegno. Il ruolo dell’amministratore è quello di fungere da tutore, assumendo quindi il controllo delle finanze, delle decisioni sanitarie, lavorative e legali del proprio assistito. Il padre della Spears, nominato suo tutore legale nel 2008 assieme all’avvocato Andrew Wallet, ha ottenuto in seguito a una sentenza legale il diritto di gestire la fortuna della figlia, che si aggira intorno ai 60 milioni di dollari, cosa che, secondo una moltitudine di fan della cantante, si sarebbe tradotta in un controllo totale sulla donna la quale, nonostante le proprie rimostranze, sarebbe imprigionata in una battaglia legale dalla quale non riuscirebbe a uscire.

L’imposizione dell’amministrazione di sostegno da parte della Corte arrivò dopo un periodo buio per la Spears in seguito al quale furono pubblicate le foto che fecero il giro del mondo e che la ritraevano mentre si tagliava i capelli a zero e assaliva con un ombrello la macchina di un paparazzo (intervistato nel documentario), e soprattutto dopo che perse la battaglia per l’affidamento esclusivo dei figli, vinta dall’ex marito Kevin Federline. Quando poi, nel 2008, la star fu ricoverata per la seconda volta in ospedale a causa del suo stato mentale, il padre Jamie (una presenza a dir poco incostante nella vita della figlia fino a quel momento) prese il controllo della situazione, chiedendone appunto l’affidamento legale.

Dopo un lungo periodo trascorso come co-tutore, a marzo del 2020 l’avvocato Andrew Wallet abbandonò improvvisamente l’incarico, lasciando il padre della Spears come unico responsabile fino a novembre dello stesso anno, quando la cantante dichiarò davanti alla corte, tramite il suo legale, che non si sarebbe più esibita fino a che fosse rimasta sotto il controllo del genitore. Sebbene il giudice non abbia accolto la sua richiesta di levare a Jamie l’incarico di tutore, ha comunque nominato la Bessemer Trust come co-amministratrice dei beni della cantante.

Ciò che obietta il documentario è che, se è vero che la Spears poteva avere avuto bisogno di un amministratore di sostegno 13 anni fa, sarebbe decisamente meno credibile che una donna di quarant’anni con due figli e una fiorente carriera alle spalle possa essere la stessa persona che era allora. Oltre a ciò, secondo gli avvocati della cantante scelti per lei dalla Corte, sarebbe messa in discussione l’applicazione stessa della tutela, che starebbe impedendo alla star di assumere un legale di sua scelta per poter dimostrare di essere in grado di gestire i suoi beni e la sua persona e tornare a essere indipendente o anche solo ottenere che il padre venga sostituito da un amministratore di sostegno indipendente.

LE REAZIONI AL DOCUMENTARIO

Secondo il movimento #FreeBritney, in seguito alla messa in onda del documentario, l’avvocato della Spears, Lisa MacCarley, avrebbe scritto una lettera a più di 100 avvocati di Los Angeles chiedendo il loro sostegno per mettere fine alla tutela forzata della sua cliente, i cui diritti costituzionali sarebbero stati violati, quando il legale che era stato scelto dalla Spears per rappresentarla davanti al giudice è stato respinto dalla Corte, poiché la Spears non avrebbe avuto la “capacità di assumerlo”, un diritto che spetterebbe quindi solo al padre della popstar dal cui controllo la figlia vorrebbe appunto slegarsi.

In quanto alla diretta interessata, che non è intervenuta nel documentario, Britney ha pubblicato proprio ieri un post sul suo profilo Instagram con una clip tratta da un suo concerto scrivendo:

Non riesco a credere che la performance di Toxic risalga a 3 anni fa!!! Amerò sempre esibirmi su un palco … ma mi sto prendendo del tempo per imparare ad essere una persona normale … Amo godermi la semplicità della vita di tutti i giorni!!!! Ognuno di noi ha la sua storia ed il suo punto di vista sulle storie di altre persone!!! Abbiamo tutti delle vite così splendenti e diverse!!! Ricordate, a prescindere da quello che si possa pensare della vita di una persona, non è nulla paragonato a ciò che quella persona sta vivendo dietro le quinte.

Ma anche un messaggio come questo, che sembra suggerire di voler essere lasciata tranquilla e che ciò che appare dall’esterno non rispecchia la realtà, è ormai interpretato come un segnale di allarme, che dimostrerebbe come i suoi social siano controllati e vi sia in realtà qualcuno che ha cercato di mettere a tacere le voci sollevate dal movimento #FreeBritney prima (che insiste nel vedere nei post dell’attrice dei segnali nascosti di richieste di aiuto) e dal documentario poi.

IL MOVIMENTO #FREEBRITNEY

Il documentario pone grande attenzione sul movimento nato dai social per “Liberare Britney” che risale al 2019, quando una cinquantina di fan si riunì fuori dal tribunale di West Hollywood al grido di #FreeBritney, una campagna lanciata da Tess Barker e Barbara Gray al fine di porre fine all’amministrazione di sostegno imposta dalla corte alla cantante. L’obiettivo del movimento è quello di restituire l’indipendenza alla Spears che, secondo le due fondatrici, sarebbe più che in grado di badare a se stessa ed alla sua carriera, allontanandola dall’invadente controllo del padre descritto, nella prima parte del documentario, come un uomo poco presente, ma interessato fin da subito a sfruttare la figlia e il suo talento.

Uno dei motivi per cui il movimento prese vita e si conquistò l’interesse del pubblico, oltre al battage sui social, fu la scoperta e la divulgazione della notizia – poco prima che la Spears decidesse di rinunciare al suo tour a Las Vegas per occuparsi della famiglia e si ritirasse a vita provata – che l’avvocato Andrew Wallet chiese un considerevole aumento portando il suo salario a 426.000 dollari all’anno. In una puntata del podcast Britney’s Gram, tenuto dalla Barker e dalla Gray, inoltre, le due pubblicarono un vocale anonimo da parte di un assistente legale che asserì di aver lavorato per lo studio che si occupava dell’amministrazione della cantante. Questi affermava che la Spears sarebbe in realtà sparita dalle scene perché ricoverata presso un istituto mentale “contro la propria volontà”. L’autenticità del messaggio e l’identità del messaggero, come sottolinea il documentario stesso prima che il vocale venga mandato in onda, non sono mai state accertate.

I PROBLEMI DI FRAMING BRITNEY SPEARS

Nonostante il nodo di Framing Britney Spears sia proprio la discussa tutela legale imposta alla Spears, il documentario non si apre con i problemi legali della cantante e la sua richiesta di porre fine al controllo che il padre esercita sui suoi beni e sulla sua vita, quanto piuttosto con una ricostruzione della carriera di Britney, dagli esordi fino all’attualità. Quello che si vede è un vero colpo al cuore, nonché probabilmente la parte più onesta di Framing Britney Spears.

Fin da quando aveva 15 anni, l’immagine di Britney, la dolce ragazza di McComb, Mississippi, è stata strumentalizzata, sessualizzata e sfruttata dalle molte persone che hanno contribuito a portarla al successo. Buona parte del documentario è una triste carrellata di vicende che hanno costellato la brillante carriera della popstar e che hanno probabilmente contribuito a minare la sua sanità mentale. Dai paparazzi che l’hanno perseguitata anche nei momenti più dolorosi e difficili della sua vita pubblica e privata, senza mostrare mai un briciolo di umanità per la persona dietro alla star, ad adulti che criticavano ogni sua mossa o facevano minuziosi commenti sul suo corpo di giovane donna, fino a parlare apertamente in pubblico del suo seno che cresceva o della sua verginità, la vita di Britney sembra essere stata più un incubo che la favola di una ragazza di provincia che raggiunge il meritato successo.

Due momenti di Framing Britney Spears, in particolare, stanno comprensibilmente scatenando l’indignazione del pubblico: la fine della sua storia con Justin Timberlake, per un presunto tradimento di lei, e uno stralcio di un’intervista con Diane Sawyer.

Nel primo caso, durante un’intervista radiofonica avvenuta dopo la fine della loro storia, in occasione della promozione dell’album del cantante che conteneva il pezzo “Horrible Woman”, che in molti immaginarono si riferisse allo loro storia, il conduttore radiofonico chiese a Timberlake se fosse andato a letto con la Spears o se la cantante avesse mantenuto il proposito di rimanere vergine in attesa del matrimonio, e lui – scoppiando a ridere – rispose senza mezzi termini di esserci andato a letto.

Nel 2003, poi, la ABC mandò in onda un’intervista tra la Spears e la famosa giornalista Diane Sawyer che le chiese cosa avesse fatto per aver causato tanta sofferenza in Timberlake e avergli spezzato il cuore, una domanda imbarazzante che la star cercò di evitare rispondendo semplicemente che al tempo erano entrambi molto giovani e non erano fatti l’uno per l’altra. L’intervistatrice proseguì sottolineando come, con le sue azioni, avesse deluso molte madri nel paese e le mostrò quanto dichiarato dall’allora moglie del governatore del Maryland che disse che, se ne avesse avuto l’opportunità, le avrebbe volentieri sparato. Alla reazione comprensibilmente scioccata dell’allora poco più che ventenne Britney, ormai in lacrime di fronte alla giornalista, la Sawyer rincarò la dose spiegandole:

“Beh, è per via dell’esempio che dai ai ragazzi e per come sia difficile oggi essere un genitore…”

Se esiste in sostanza un tema su cui varrebbe davvero la pena soffermarsi seriamente è quanto tossico e distruttivo sia lo showbiz, soprattutto per una giovane donna, e in particolare negli anni in cui Britney Spears ha raggiunto il successo, in cui tra uomini che hanno tradito in ogni modo possibile la sua fiducia, una stampa sempre pronta ad attaccarla e a sfruttarla e sedicenti manager che l’hanno usata, in molti dovrebbero prendersi la responsabilità per aver spezzato una giovane donna con un grande talento. Nessuna delle persone intervistate – a giudicare dalle reazioni che vediamo sullo schermo – sembra tuttavia disposta a mettere in discussione il proprio operato.

Quello che abbiamo trovato discutibile di Framing Britney Spears è invece il modo in cui, a un certo punto della narrazione, il documentario faccia un brusco cambio di carreggiata e prenda indirettamente ad adottare le stesse tattiche che fino a qualche minuto prima aveva fortemente criticato, sfruttando in un certo senso la posizione della cantante con una serie di ipotesi senza alcun concreto fondamento e di fatto ammettendo che chiunque voglia trovare qualcosa di marcio nella sua situazione potrà farlo senza problemi grazie alle conclusioni a cui è arrivato anche il movimento #FreeBritney le cui teorie, come accennavamo, sono in buona parte basate su una sorta messaggi subliminali che l’artista cercherebbe di lanciare al mondo tramite i suoi social.

Dove prima il film mostrava, in sostanza, una serie di fatti e dichiarazioni da parte dei diretti interessati, testimoni della nascita e della trasformazione della carriera della Spears, quando affronta la questione della tutela si limita invece a raccogliere una serie di voci e a presentare prove circostanziali. Alla domanda più importante, quale sia cioè il vero stato di salute della star e se sia in grado di gestire la propria vita o i propri figli (di cui l’artista ha ora la custodia al 30% con l’ex marito, con l’amministrazione di sostegno a essere una delle condizioni legali per poterla mantenere), non si dà in sostanza alcuna risposta, poiché il documentario manca di attendibili fonti dopo il rifiuto dei diretti interessati di rispondere alle accuse mosse loro.

Sebbene Framing Britney Spears sembri chiaramente suggerire che vi sia più di qualche ragione per sospettare che non tutto della condizione in cui si trova la Spears sia limpido e legale e soprattutto che suo padre Jamie stia traendo un vantaggio economico dalla sua posizione, gli autori falliscono a più livelli nel dimostrare che le decisioni della corte di Los Angeles non siano altro che un modo per proteggere la popstar da quell’ambiente che l’ha tanto ferita in passato, velando tutto ciò che circonda la sua vicenda legale e il suo vero stato di salute con un manto di mistero che viene però additato come sospetto. Per ciò che ne sappiamo non si ha alcuna prova – al di là dei radi interventi della Spears stessa sui social (che non danno peraltro la sensazione di trovarsi di fronte a una persona in pieno controllo) – che dimostri la malafede delle persone che stanno agendo in sua vece. Per credere inoltre all’esistenza di una cospirazione contro la cantante volta a controllarne i beni per un interesse personale, bisognerebbe mettere alla sbarra anche il sistema giudiziario stesso che non ha alcun interesse a voler perpetrare uno stato di supposta “prigionia legale”, se non quello di tutelare la parte in causa.

Quello della malattia mentale è un argomento molto delicato, spesso le persone che ne sono affette hanno bisogno di tutto l’aiuto possibile per avere una vita funzionale e prendersi cura di se stesse ed i loro fatti privati non dovrebbero mai diventare argomento di discussione da bar per persone che non hanno alcuna competenza in materia. Quello che si auspica per Britney Spears, alla luce del controverso documentario, è quindi che qualcosa di tanto serio e spesso molto doloroso per tutte le parti in causa non diventi un altro dei tanti processi discussi dal Tribunale e dalla Giuria dei social media, così come è avvenuto per buona parte della sua vita.

Il documentario Framing Britney Spears è andato in onda negli Stati Uniti su FX ed Hulu venerdì 5 febbraio.