Non c’era niente come I Tenenbaum prima de I Tenenbaum. È il film con cui Wes Anderson inizia a fare veramente sul serio, ma anche la pietra fondamentale da cui il cinema indipendente costruirà infinite diramazioni.

La voce forte e chiara già ce l’aveva (quanto è bello ancora oggi Rushmore?). Ma è a partire da questo film che Wes Anderson inizierà a diventare un fenomeno di pubblico (è il suo film che ha fatto più profitti, superato solo da Grand Budapest Hotel) e sopratutto di costume cinematografico.

Non c’è niente di veramente nuovo nel suo cinema, ma è il modo in cui mischia gli ingredienti, la coerenza con cui segue il suo proposito, a rendere unica la sua voce. Il prologo de I Tenenbaum racconta ancora oggi tutta la filmografia del regista meglio di qualsiasi altra analisi.

Siamo di fronte a una famiglia perfetta in tutto e per tutto. Fedeli apostoli dell’American Dream. Questo gruppo di individui dai talenti eccezionali si racconta come farebbe Charles Foster Kane in Quarto potere. Una vita pazzesca, fatta di eccellenza e di traguardi raggiunti in tenera età. Eppure è un’esistenza conforme alle aspettative della società capitalistica, a quell’idea di successo e notorietà a cui solo Margot, figlia adottiva, fatica a conformarsi. Basta però una interferenza, un elemento di disturbo nella trasmissione di un immagine perfetta, perché l’intera famiglia crolli: i genitori si stanno per separare.

La macchina del successo sta per cambiare marcia, e proprio in questo cambio si ingolfa. I Tenenbaum potrebbe essere una telenovela, per quanto si basa su intrecci amorosi, tentativi di riscatto, di ricongiungimento con la famiglia, improbabili minacce e annunci di morte. Ma Wes Anderson grazie alla sua incredibile capacità di lavorare sulle atmosfere, si astrae dalle vicende, dando spazio alla comicità delle situazioni. Trova un passo leggero, ma al contempo sovversivo.

Al contrario di come è accaduto con i suoi ultimi due film, ne I Tenenbaum il regista è vicinissimo ai suoi personaggi. Non sono marionette disposte in funzione dello spazio, ma sono ancora personalità in pieno conflitto tra desideri ed emozioni. La loro casa, i campi da gioco, le strade e le stanze sono un prodotto della loro personalità. Oggi, nei film di Wes Anderson, è esattamente il contrario. Gli uomini e le donne vengono definite dal luogo in cui vivono. Sono parti dell’arredo come zombie privi di vita. Ne I Tenenbaum invece tutto respira e si muove sulla base delle emozioni, e non delle loro azioni.

Lo spunto di partenza è semi autobiografico (si è ispirato al divorzio dei suoi genitori) e, per questo, sembra che la stravagante personalità del regista esploda in tanti frammenti. Uno per ogni figura sullo schermo.

I Tenenbaum sono infatti un’entità unica, vivono in una a-sincronia che è anche un’espressione del disagio psichico che attraversa tutti. È un film di gente auto castrata, di un’umanità brutta, ma dall’apparenza luminosa. C’è tanto di L’orgoglio degli Amberson, e tante suggestioni dal cinema del passato. Ma non c’è niente nell’opera che non sembri originalissimo, fresco, e frutto di una visione già chiara e matura.

Insieme al supervisore della musica Randall Poster, Anderson fa danzare le immagini con la colonna sonora. L’arrivo di Margot, che scende dal pullman al rallentatore sotto le note di These Days è così equilibrato da sembrare che sia Nico stessa (la cantante del brano a cui Margot è ispirata) a camminare.

I Tenembaum Wes Anderson

Bob Dylan, The Clash, i Ramones, e lo straordinario score di Mark Mothersbaugh fanno de I Tenenbaum un “musical a cielo aperto”. Dove i brani non portano avanti la storia, non sono soliloqui o momenti introspettivi, ma sono parte integrante di una giostra che si muove a ritmo di quelle canzoni. 

Anderson riesce qui a trovare il perfetto equilibrio tra il suo stile e la sostanza, grazie soprattutto alla sceneggiatura scritta con Owen Wilson. Non c’è un dialogo di troppo o, per lo meno, non c’è una parola pronunciata che non vada a ritmo con i movimenti di macchina. Ma c’è anche un’intimità che il regista andrà man mano perdendo. Il coraggio di avvicinarsi ai propri attori e lasciarli esprimere senza freni.

Come nei suoi precedenti due film si percepisce la voglia di ribellione giovanile. Certo, è un “sessantotto” fatto da uno dei registi più eleganti e formali di sempre, ma è pur sempre un cinema di opposizione. Per gran parte, eccezion fatta per il finale frettoloso e consolatorio, il conformismo è il vero nemico. Wes Anderson ne sembra infastidito. L’apparenza, così importante nelle immagini, è una gabbia per i personaggi. Dietro ai colori in palette, dentro gli occhiali scuri o i volti impassibili, c’è un mondo in esplosione pronto a farsi caos.

I Tenenbaum non si compiace del suo ordine, anzi, ama il disordine dei suoi personaggi. Non teme di guardare in faccia il loro disagio esistenziale, lo rende immagine con il contagocce fino a riempirne il film. Per lo spettatore tutto questo si traduce in vita ed energia pura di un regista che ha ancora tanto da dare ma che raramente riuscirà a raggiungere ancora un tale equilibrio.

Potete godervi I Tenenbaum su Disney + nella sezione Star.