Sideways – In viaggio con Jack si regge su due pilastri: il vino, e lo sguardo di Paul Giamatti. Alexander Payne dirige la più classica delle commedie: un professore di inglese, con ambizioni da scrittore, in viaggio con l’amico attore in procinto di sposarsi, ma incapace di contenere il suo istinto da playboy. I due partono con l’intenzione di divertirsi in un addio al celibato senza freni. Cercheranno invece nelle vie del vino, nei sapori delle produzioni locali e nelle bottiglie da collezione, una terapia personale.

Miles (Paul Giamatti) sa degustare, riesce a cogliere ogni sfumatura, percepisce odori, sapori, colori come una carta di identità di una bottiglia. Ne vede la poesia: un liquido che è vivo come noi – si dirà ad un certo punto nel film – che cambia con gli anni, matura, e che va assaporato al momento giusto. Ma il bicchiere è l’unica cosa che sente. Miles si trascina per una vita che, dopo il divorzio, non ha più sapore. È incapace di cogliere le sfumature, di sintetizzare il molto nel poco. Sta scrivendo un’opera di finzione vagamente ispirata alla sua vita. Ma è un volume interminabile: un manoscritto conservato in due enormi scatoloni che vengono passati alle persone interessate come se fossero dei pesantissimi pacchi.

Jack (Thomas Haden Church) invece sta invecchiando. Sente di essere alla fine della sua carriera di attore, si vuole sistemare, vivere una vita tranquilla, ma il corpo non gli dà tregua. La sua fisicità strabordante vuole vivere al massimo, andare a letto con le ragazze, ubriacarsi, fare risse e sedurre. Gusta ogni secondo della vecchia vita, esagera, colora di energia adolescenziale ogni istante. Ma non riesce a distinguere il sapore del vino.

Sideways – In viaggio con Jack è un film squilibrato, nonostante sia calcolato al millimetro. Miles è un one man show di Paul Giamatti, all’epoca caratterista poco noto al grande pubblico. È immagine straordinaria dell’uomo medio. Medio nella statura, nelle ambizioni, nel coraggio. Nulla può Haden Church il cui Jack, addirittura presente nel sottotitolo italiano, è invece evanescente. È difficile identificarsi nelle sue scelte, la sua spirale autodistruttiva non ha una vita propria, ma serve ad attivare le reazioni di Giamatti. È lui che si mangia (o meglio, beve) il film.

Lo si vede da come prende in mano i bicchieri. Un’azione semplice che Giamatti non ripete mai uguale. Payne non riesce mai a mostrare il vino in maniera seducente, il suo attore sì. Ci mette passione, gusto, rabbia come se stesse affrontando i propri demoni. E sono proprio questi momenti ad elevare Sideways oltre la sua natura di commedia “teen” on the road fatta però da persone che hanno superato di gran lunga la giovinezza.

Sono gli occhi di Giamatti a dare quell’ombra di malinconia, quel senso di fine di un’epoca spensierata che si attacca allo spettatore proprio come il sapore dolceamaro di un buon vino. La linea del suo sguardo definisce lo stato emotivo del personaggio, là dove la regia di Payne si limita a riprendere convenzionalmente i dialoghi. Inizialmente guarda in basso, ha occhi sfuggenti, una fisicità che lo rinchiude in sé stesso. Miles è l’unico che guarda fuori dall’inquadratura, che cosa osservi non ci è noto. Esce però dal film, si allontana dalla storia restando immobile nelle immagini, mentre sullo sfondo accade l’azione. Getta lo sguardo oltre i confini di quello che noi possiamo vedere, e quindi guarda dentro se stesso.

Solo alla fine riuscirà a reggere gli sguardi talvolta giudicanti, talvolta benevoli delle persone che lo circondano. Sono individui capaci di comprenderlo, ma che Miles vive come aguzzini, portatori di aspettative che lui non sa realizzare. Ruba denaro alla propria madre che, un istante dopo, si mostra disponibile a prestarglielo. Teme di dire che il libro che ha scritto non verrà pubblicato e, quando lo fa, nessuno lo crede un fallito.

Miles e Jack percorrono in Sideways due strade opposte, ma continuano a incontrarsi in mezzo, come in un cerchio che unisce i due cammini. In mezzo c’è il matrimonio, o l’idea di una vita stabile. Alexander Payne inquadra questi due caratteri da vicino quando li vuole fare apparire esseri umani degni di empatia. La componente comica e grottesca è invece sempre in campo lungo, quasi distaccata, come nell’esilarante sequenza sul campo da golf. Sono parti in cui Sideways si astrae dai drammi esistenziali e li spunta nel loro acume.

Sideways perde mordente nel suo terzo atto, cede alla tentazione di commedia degli equivoci. Cerca di mettere le mani davanti rispetto ai suoi significati e alle sue ambizioni. Come se, in fondo, questo viaggio non fosse altro che una beffa del destino, una situazione bizzarra da non prendere sul serio e, al massimo, da vivere con superiorità. Un atto di codardia che impedisce all’ottimo Sideways di raggiungere l’eccellenza, ma che non gli impedisce, ancora oggi, di essere un’esperienza di cinema dei buoni sentimenti con tanto gusto e un sapore inconfondibile.

Sideways – In viaggio con Jack è disponibile su Disney+ nella sezione Star