Alla celebrazione dei 30 anni de Il silenzio degli innocenti, ospitata in un articolo di Variety, Anthony Hopkins e Jodie Foster si chiamavano con il nome dei rispettivi personaggi: Clarice e Lecter.

Non c’è altro modo per descrivere l’incrocio tra i due attori, che è diventato un segno indelebile sulla carriera di entrambi.

Una piccola donna in un mondo maschilista. Un fine conoscitore della psiche che è attratto dagli uomini a tal punto da divorarli. La storia di Hannibal raccontata da Jonathan Demme è quella di una psicanalisi.

Oltre l’orrore, la caccia a Buffalo Bill, il simbolismo della carne e della rinascita, quello che è portato avanti dai due attori non è altro che uno scontro tra paziente e analista. Più Lecter scava nella vita di Clarice, più la donna va a fondo (una discesa che si mostra anche letterale nel film) nella risoluzione del caso.

Come uno sceneggiatore Hannibal scrive la sua protagonista, la indaga nelle sue contraddizioni, la sviscera con le parole. Lo sguardo fisso, la posa ferma, i movimenti sicuri. Hopkins non presta le sue sembianze a una persona malvagia, ma a un uomo più razionale degli altri, che combatte con la sua bestialità. Quando si muove sembra provenire dal mondo felino, un predatore in mezzo agli agnelli, quando osserva senza battere ciglio è un freddo calcolatore.

Anthony Hopkins aveva capito sin dall’inizio il personaggio. Ed è entrato sin da subito in sincronia con la direzione in cui la regia voleva portare il racconto. Ne è uscito uno dei più grandi villain di sempre. Un antieroe indecifrabile, un essere superiore e sadico imprigionato in una gabbia, ma libero di uscirne in ogni momento grazie alle sue capacità.

Nella conversazione con Jodie Foster l’attore hai ricordato che tutto questo è iniziato con… una storia per bambini:

Ricordo che ero a Londra nel 1989 a recitare in una rappresentazione teatrale intitolata M. Butterfly. Il mio agente mi ha inviato una sceneggiatura. Ha detto “perché non la leggi? Si chiama Il silenzio degli innocenti (Il silenzio degli agnelli in originale ndr)”. Io gli ho risposto: ” è una storia per bambini?”. Era un caldo pomeriggio d’estate, arrivò la sceneggiatura e iniziai a leggerla. Dopo dieci pagine chiamai il mio agente e gli dissi: “l’offerta è reale? Voglio saperlo. È il ruolo migliore che io abbia mai letto”. 

Hopkins si è detto fiero di aver potuto lavorare con Jonathan Demme, ma ha anche confessato alla collega di aver provato un certo timore reverenziale nei suoi confronti. Foster arrivava infatti dalla vittoria del premio Oscar come miglior attrice per Sotto accusa ed era già molto amata.

Stando ai ricordi di quei giorni sul set apprendiamo che i due, nonostante la reciproca stima, non si sono parlati prima di incontrarsi al tavolo di lettura della sceneggiatura. Il primo impatto di Jodie Foster è stato quindi con un Hopkins già nella parte, con la relativa ondata di inquietudine che ha generato. 

Il contributo dell’attore al film è leggendario. Non solo ha plasmato una delle performance migliori della sua carriera, ma ha contribuito a definire i tratti psicologici di Hannibal Lecter per i film a venire (nonostante il calo di qualità). Il portamento e la fisicità sono sue idee. È sua infatti l’idea su cui si regge il primo incontro con Clarice: la giovane detective attraversa il corridoio del penitenziario. Vediamo in soggettiva i detenuti che la insultano e cercano di spaventarla. Arrivata alla cella di Lecter trova l’uomo in piedi, come se la stesse aspettando. Una posa efficacissima, che stacca di netto il personaggio dagli altri comuni psicopatici. “Mi piacerebbe stare in piedi qui. Riesco ad odorarla mentre si avvicina dal corridoio” ha detto Hopkins al regista Jonathan Demme. Chiaramente sempre in parte.

Così ha continuato a raccontare Hopkins:

Hanno fatto alcuni test dei costumi, e io non so che autorevolezza avessi. Ma colui che aveva disegnato i vestiti mi mise in questa tuta da prigione arancione. Io ho ribattuto: “no, voglio un abito su misura”. Sapevo che aspetto aveva il personaggio. La sua voce mi è arrivata alla prima lettura della parte. Jonathan mi ha chiesto delucidazioni e io gli ho detto: è come una macchina. È come HAL, il computer in 2001 Odissea nello spazio: “buona sera, Dave”. Si avvicina come uno squalo silenzioso.

Una performance curata in ogni dettaglio, a partire dalla voce del personaggio: tagliente, metallica e ambigua. L’ispirazione per il tono di voce è arrivata dal passato dell’attore. Quando frequentava la Royal Academy of Dramatic Art studiava con un professore che aveva proprio quella voce tagliente che abbiamo rivisto ne Il silenzio degli innocenti.

Che cosa ne pensate della performance di Anthony Hopkins ne Il silenzio degli innocenti? Fatecelo sapere nei commenti!

Fonte: Variety