Agli sgoccioli dell’annata vi proponiamo i migliori 10 film usciti in Italia nel 2019.

Come al solito il meglio rimane fuori, cioè i film che non sono usciti da noi ma sono stati presentati lungo quest’anno (Ema, The Painted Bird, Piccole Donne) e molto del buono di questa classifica è uscito per poco tempo in pochissime sale, di fatto difficile se non impossibile da vedere (al cinema).

La sorpresa è che in testa ci sono quasi solo grossi film, uscite corpose di autori noti e apprezzati, per nulla difficili da trovare. Anzi. Ci sta il ritorno di alcuni grandissimi autori, un esordio e un quasi esordio (un’opera seconda dopo una prima passata sotto silenzio) e il film che ha fatto ribrezzo a tutti (ma che bello che è!).

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10. Light Of My Life di Casey Affleck – recensione

Possiamo metterci a fare i calcoli, recuperare le date di stesura della sceneggiatura e cercare di stabilire se questa storia sia venuta in mente a Casey Affleck prima o dopo le accuse di molestia che gli sono state rivolte contro, oppure possiamo accettare il ruolo che il film ha a prescindere dalle ragioni per le quali è stato concepito. Light Of My Life arriva adesso, ora che Affleck è una figura decisamente controversa, accusato da più parti per come ha trattato alcune donne. E nel film lui mette un protagonista (interpretato da se stesso) a proteggere una donna, cioè sua figlia, in un mondo in cui gli esemplari femmine della specie sembrano estinti. Post-apocalittico scarno e brutale, pura cattiveria umana e studio sulla recitazione, lunghi dialoghi e sequenze d’azione girate senza coreografia ma per ricalcare il puro istinto di sopravvivenza di persone normali.

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9. C’era una volta a Hollywood di Quentin Tarantino – recensione

Più invecchia meno mette d’accordo. Quentin Tarantino rimane uno tra i pochi grandi autori a godere anche di un ampio successo commerciale, ma sempre meno. Del resto tra poco (dice che) smette. Questo film indulgente, nostalgico, ombelicale e tenerissimo ribadisce come pochi sanno fare il piacere del fare film per poterli vedere, mette in scena la definizione stessa di cinema per Tarantino (arte bassa che viene elevata dal confronto con la vita di chi ne fruisce) e lavora di star power per ricostruire la vita e la passione di un attore di seconda fascia, uno che non sarà mai un grande ma che (sembra di capire) nel cuore di come Tarantino sarà per sempre un eroe.

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8. Normal di Adele Tulli – recensione

L’esordio italiano dell’anno, un documentario che mette in scena quello di cui tutti parliamo e lo fa passando solo per le immagini. Come il sesso d’appartenenza influenzi il gender e come il gender sia intorno a noi fin da quando siamo piccoli. Per metterlo in scena Adele Tulli crea un collage di immagini diverse in situazioni diverse che coinvolgono bambine, bambini, ragazzi, ragazze, uomini, donne, e poi coppie e poi ancora famiglie intere. L’essere unite in un unico film dona a queste immagini un senso superiore a quello che avrebbero da sole (che poi dovrebbe essere il punto di ogni film ma sappiamo che non sempre è così), e ogni volta, in ogni segmento è possibile riflettere, pensare, trovare come il gender influenzi la nostra vita. Un film che accende la testa dello spettatore.

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7. Storia di un Matrimonio di Noah Baumbach – recensione

Baumbach ha ronzato intorno al cinema migliore per anni. Ha accumulato preferenze, una buona fanbase, attenzione critica e in qualche caso incassi (più che altro con i film scritti assieme a Wes Anderson). Ora Storia Di Un Matrimonio capitalizza tutto questo credito, in una storia largamente ispirata alla sua vita ma così precisa da diventare subito universale. Raccontare un divorzio, le sue minuzie, le sue violenze e i problemi che pone è una scusa per raccontare come i sentimenti si trasformino. La coppia in questione non smette mai di amarsi, cambia il modo di farlo, cambia l’intensità e cambia la modalità ma qualcosa sopravvive sempre anche tra le macerie più nere. Per farlo aveva bisogno soprattutto di due grandi performance, ha trovato due attori in forma e pronti a lavorare più duramente del solito ed è riuscito a compiere l’impresa.

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6. Una Bugia Buona di Lulu Wang – recensione

Ma quanto è brava Awkwafina? Finalmente con un film intero sulle spalle questa musicista prestata al cinema regge un personaggio stranissimo. Insoddisfatta, incompleta e piena di dubbi sul proprio futuro, una trentenne di origini cinesi torna in Cina con la sua famiglia per un matrimonio. Ma l’occasione è anche quella di stare con una nonna a lei cara che sta per morire. Solo che non lo sa e la famiglia, come tradizione vuole, non intende dirglielo. Lei che è più americana che cinese invece vorrebbe. Da questo contrasto e questo viaggio, esce una strana commedia amara in cui un personaggio apparentemente vuoto si rivela pieno di dubbi, in cui il classico tema della doppia origine e dell’individuo a metà tra due culture si riempie di un senso nuovo.

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5. La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco – recensione

A partire dall’immagine più nota di Falcone e Borsellino, quella in cui i due sono chinati l’uno verso l’altro nell’atto di dirsi qualcosa, Maresco mostra cosa accada nei luoghi più remoti di Palermo (il quartiere ZEN), abbandonato dallo stato e in mano alla mafia. Quell’immagine è infatti terreno di negoziazione in Sicilia, non ha il significato elevato e morale che ha per il resto d’Italia ma è qualcosa da odiare e disprezzare. Almeno fino a poco tempo fa perché ora un travet qualsiasi, un orrido organizzatore di concerti di strada, sta organizzando una serata musicale in loro onore. Chi l’ha autorizzato? Lui che teme tutto, specie la mafia, perché lo fa nonostante le persone lo insultino per questo? Quell’immagine dei due giudici forse è così potente che la mafia vuole appropriarsene, cavalcarla, trasformarla in qualcosa da lodare e amare anche in Sicilia, ma per le ragioni che dicono loro. Di fatto annullarne il potere sovversivo sostituendolo con uno blando e folkloristico.

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4. Il mostro di St. Pauli di Fatih Akin – recensione

Uno dei film più disturbanti che possa capitare di vedere e ha lasciato inorridita la gran parte del pubblico che l’ha visto. Privo di spargimenti di sangue, denso di violenza più che altro fuori campo e attaccatissimo alla realtà, quella che fa Fatih Akin è la cronaca della vita di un serial killer tra puzza di cadaveri marci, donne sovrappeso con il fegato sfondato dall’alcol e una scarsa igiene personale da possedere con disprezzo e poi sgozzare, alcol consumato a fiumi, senza limiti e senza ritegno e la più bassa forma di vita umana che si possa immaginare. Eppure la titanica grandezza di questo film sta non solo nel trasferire tramite l’audiovisivo anche olfatto e tatto (sembra di sentire l’appiccicato del pavimento, sembra di sentire la puzza di urina) ma di trovare in questo serial killer disumano e mostruoso, una vera e onesta scintilla di umanità. Questo è davvero il film più umano dell’anno.

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3. L’ufficiale e la spia di Roman Polanski – recensione

Forse uno dei migliori film in assoluto dell’incredibile carriera di Roman Polanski, un detective movie tratto da un vero fatto storico, in cui l’indagine darà un esito che già conosciamo e quindi possiamo concentrarci sui passaggi che stanno tra l’accusa e la verità, quanto sia complicato, difficile, precario e pieno di buche il percorso verso la verità. Accusare è semplice, provare cosa sia davvero accaduto in un mare di faziosità e manomissioni è un’impresa. Non è difficile leggere in controluce le questioni personali di Polanski, nondimeno questo film straordinario è uno degli ultimi grandi esempi del grande cinema classico europeo del ‘900, una bomba che ci arriva inattesa quando pensavamo che quello stile, quei modi e quei tempi fossero finiti.

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2. Dolor Y Gloria di Pedro Almodovar – recensione

Per la seconda volta in carriera (dopo La Mala Educacion) Almodovar parla di se stesso e questa volta senza mezzi termini. La storia di un regista malandato, pieno di dolori, completamente ignorante ma educato da una vita nell’arte è lo sfondo su cui si muovono le consuete coincidenze, gli amori del passato, i ritorni e i ricordi. Ma era da almeno 20 anni che non lo si vedeva così in forma, così accurato, preciso e pieno di idee. C’è sia il vecchio Almodovar, quello della droga e della movida, che quello più recente degli amori teneri e dei molti ricordi, tutto fuso in un film sul fare film come sforzo fisico e uscire dalla depressione. Il miglior Antonio Banderas di sempre chiude un film perfetto.

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1. Parasite di Bong Joon-ho – recensione

È il film dell’anno. La punta più alta del cinema della Corea Del Sud che ci ha accompagnato dall’inizio degli anni 2000 e insieme la più commerciale. Poveri e ricchi, alti e bassi della città, scantinati e ville, inganni e controinganni. Le differenze tra classi, la furbizia, la commedia e poi in una notte di pioggia il ribaltone. Negli scantinati delle case dei ricchi ci sono i pistoni che gli accendono le luci al loro solo passare (e a capocciate), c’è il rimosso della società, nascosto e felice di mangiare gli avanzi rubati. I poveri che sognano una scalata sociale toccano con mano come sia di fatto impossibile (perché puzzano!).

Un gioiello di architettura delle inquadrature, di linguaggio delle immagini e di lavoro tra primo e secondo piano, in cui ad ogni evento davanti all’obiettivo corrisponde una risposta nello sfondo. Bong Joon-ho dirige così dai tempi di Memories of Murder e finalmente il mondo se n’è accorto.

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