Commando va in onda su Rete 4 e Rete 4 HD questa sera alle 21:27

Biancaneve. Cenerentola. Aurora. Ariel. E perché non anche Jenny Matrix? Commando, che oggi illuminerà la prima serata italiana per la gioia di un intero Paese, è anche sbarcato su Star di Disney+: secondo noi questo significa che la figlia di John Matrix merita di essere inserita nel canone delle principesse Disney, e anche suo padre dovrebbe avere un posto d’onore vicino a Re Tritone e a Re Fergus. Se siete d’accordo con noi potete firmare qui: non servirà a nulla, ma almeno potrete dire di avere provato anche voi a riconoscere ad Alyssa Milano la sua importanza nella storia del cinema. E avrete anche una scusa per riguardare Commando, che a parte ogni battuta sul fatto che è diventato un film Disney rimane uno dei passaggi fondamentali del cinema action anni Ottanta, e un’esperienza incredibile ancora oggi nel 2021.

Commando e il padre amorevole e gentile

Commando è un film che sarebbe dovuto essere completamente diverso se non fosse stato per Arnold Schwarzenegger. L’idea originale è dello sceneggiatore e fumettista Jeph Loeb, quello di Voglia di vincere, che scrive la storia di un ex soldato delle forze speciali israeliane che si pente e cambia vita e abbandona la via della violenza (se volete sapere tutto ma proprio tutto sulla storia di Commando, qui trovate una piccola Bibbia). Poi succede che per il ruolo dell’ex soldato israeliano viene scelto il futuro governatore della California, e Joel Silver, il produttore, si rende conto che c’è bisogno di cambiare un po’ le cose; chiama quindi Steven de Souza, che al tempo era “solo” quello che aveva scritto 48 ore di Walter Hill (hai detto nulla…), e gli chiede di riscrivere il film per adattarlo ai muscoli del suo nuovo protagonista.

de Souza, che negli anni successivi contribuirà a creare altri miti fondanti dell’action anni Ottanta e Novanta come John McClane e il Dredd di Stallone, si rende conto di essere di fronte a un’anomalia. Fino a quel momento gli eroi action del decennio erano stati o vecchie glorie che vivevano una seconda o terza giovinezza (pensate a Steve McQueen in Il cacciatore di taglie, l’ultimo film della sua carriera, o persino a Burt Reynolds in La corsa più pazza d’America), oppure esperti di arti marziali tipo Chuck Norris. Parallelamente, Schwarzenegger si stava costruendo una carriera basata sulla sua imponenza e sul carisma naturale dovuto all’avere un corpo da statua greca, ma lo stava facendo a modo suo: con il fantasy (Conan) e la fantascienza (Terminator).

 

Schwarzenegger

 

Commando diventa quindi l’occasione per de Souza per creare una nuova stirpe di protagonisti di film action (l’evoluzione della quale è la ragione dell’onnipresenza di Dwayne Johnson nel cinema di oggi), e per Schwarzenegger di interpretare, nelle sue parole, «un padre amorevole e gentile, un grande passo avanti per me». Che poi quello stesso padre amorevole e gentile finisca per ammazzare 74 persone in 90 minuti di film è un dettaglio secondario: per Schwarzy, Commando è soprattutto un modo per dimostrare a Hollywood e al mondo di essere in grado di accarezzare un cerbiatto senza staccargli la testa (o prenderlo a pugni come la renna di Una promessa è una promessa).

Commando e la famiglia Matrix

“Accarezzare un cerbiatto” è solo una delle tante cose tenerissime che Arnold Schwarzenegger fa nei primi dieci/quindici minuti di Commando, gli unici nei quali regna una certa calma bucolica. John Matrix, ex colonnello delle forze speciali USA, vive infatti in mezzo al nulla insieme alla figlia Jenny (della madre non si parla mai, almeno nella versione cinematografica, mentre si scopre qualcosa sul suo destino nella director’s cut); che non sia una persona qualunque ce lo dice in maniera piuttosto esplicita il suo ingresso in scena – con tanti, tantissimi primi piani di bicipiti gonfi come mongolfiere e luccicanti di sudore perché John sta tagliando la legna a petto nudo, come è giusto che sia –, ma quello che sembra un inizio da film survival si sposta rapidamente in territori completamente inaspettati, nei quali il cerbiatto è solo una delle tante stranezze a cui assistiamo, che comprendono tra le altre cose vedere Arnold Schwarzenegger con del gelato sul naso.

È un contrasto fortissimo (l’enorme montanaro con la faccia da robot assassino e la piccola e adorabile Alyssa Milano) che il sempre ottimo Mark L. Lester mette in scena con un tono talmente divertito da sfiorare la parodia – un gioco di equilibrismo che il regista di Fenomeni paranormali incontrollabili porta avanti per tutto il film senza mai prendere nulla troppo sul serio, e che è uno dei segreti del suo successo. Ma è chiarissimo che non potrà durare, e in effetti Commando ci mette una manciata di minuti per presentarci John e Jenny, prima di separarli con la forza e dare il via ai circa 75 minuti di mattanza che seguiranno. Qualcuno sta facendo fuori i vecchi compagni di squadra di Matrix, e John è l’ultimo della lista; ma siccome questo qualcuno non è furbissimo, e il suo datore di lavoro ha deciso che Matrix può essergli anche utile prima di farlo fuori, decide di rapire sua figlia e usarla come pedina di scambio: tu fai quello che ti chiediamo, noi non la facciamo  fuori.

 

Commando Schwarzenegger

 

Sangue botte violenza alè alè

Il fatto che dietro a questo piano criminoso ci siano il sanguinario aspirante dittatore dell’immaginaria isola di Val Verde e soprattutto un ex membro della squadra speciale di John Matrix (il capitano Bennett, interpretato da un Vernon Wells talmente in stato di grazia da riuscire a stare in scena insieme a Schwarzenegger senza venirne schiacciato) non fa altro che far incazzare ancora di più il nostro eroe. Commando diventa così Io vi troverò ma parecchi anni prima e con molta più rabbia e meno sottigliezza. In teoria John dovrebbe volare fino a Val Verde per far fuori il presidente e aiutare l’aspirante dittatore a realizzare le sue ambizioni; in pratica John neanche ci sale, su quell’aereo, e ha 11 ore per ritrovare la figlia prima che il volo atterri a Val Verde e gli scagnozzi del cattivo scoprano l’assenza di Matrix (e la presenza del cadavere di uno di loro).

Tutto quello che abbiamo detto finora succede nella prima manciata di minuti di Commando, e serve soprattutto per apparecchiare la tavola alla battuta di caccia che ne seguirà. Perché Schwarzenegger è talmente grosso, talmente diverso da tutto quello che gli sta intorno, che l’unico modo di gestirlo è trasformarlo in un incrocio tra un Predator e un battaglione dell’esercito, un supereroe che per sconfiggere i cattivi è capace di sradicare cabine del telefono a mani nude, e il cui corpo è talmente denso di muscoli da creare una zona di gravità negativa che respinge tutti i proiettili che gli arrivano contro. Certo, il nostro eroe viene aiutato da Cindy (Rae Dawn Chong, che quello stesso anno sarà anche in Il colore viola), assistente di volo coinvolta nella missione di John contro la sua volontà almeno finché non cambia idea, ma la strage è tutta sua, l’apparente invulnerabilità anche, e il lanciarazzi pure (non è vero, quello lo usa anche Cindy).

 

John e Jenny

 

E Jenny?

E in tutto questo, la piccola Jenny riesce, nei pochi minuti in cui è in scena e nonostante esista solo in quanto MacGuffin per scatenare il massacro, a ritagliarsi un bello spazio nel cuore di chi guarda. Perché come Merida anche Jenny è stata addestrata dal padre a tirare con l’arco e a cavarsela nelle situazioni peggiori, per cui quella che in altri film sarebbe stata una figura patetica e utilizzata solo per motivare il protagonista e portare il pubblico a odiare ancora di più il cattivo qui diventa una sopravvissuta, una che invece di piangere e chiedere pietà minaccia e insulta chi l’ha rapita, e non perde mai la fiducia nel padre-supereroe.

Le poche sequenze con Jenny Matrix portano le nostre menti corrotte dalla franchise-izzazione di ogni cosa a pensare che uno spin-off sulla figlia spaccaculi di John Matrix è un’idea che meriterebbe di essere sviluppata. Chi lavora a Hollywood sa bene che lavorare con una bambina (al tempo Alyssa Milano aveva 13 anni) è rischioso, perché sono imprevedibili ma anche perché la storia del cinema è popolata di microesseri umani fastidiosissimi e inseriti nel film solo per strizzare l’occhio a una certa fascia d’età. Jenny Matrix invece è scritta nel modo giusto, l’unico possibile quando si parla della figlia di Arnold Schwarzenegger: è una bambina, sì, ma ha personalità, coraggio, indipendenza e… chiediamo scusa, stavamo per scrivere “resilienza” ma ci siamo fermati per tempo. È un personaggio, non un plot device, e si merita un posto d’onore tra le grandi di casa Disney.

Altrimenti lo diciamo a suo papà.