1. Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma – $431,088,295
  2. Il sesto senso – $293,506,292
  3. Toy Story 2 – $245,852,179
  4. Austin Powers: La spia che ci provava – $206,040,086
  5. Matrix – $171,479,930
  6. Tarzan – $171,091,819
  7. Big Daddy – $163,479,795
  8. La mummia – $155,385,488
  9. Se scappi ti sposo – $152,257,509
  10. The Blair Witch Project – $140,539,099

Di che generazione siete? Per qualcuno, il cinema è morto nel ’76/’77 con l’ottimismo di Rocky e il merchandising di Star Wars. Per la generazione successiva invece, la migliore annata di sempre è stata il 1982 (E.T., Blade Runner, La cosa, Conan, Rambo, ecc…). Per una generazione ancora più giovane, l’anno d’oro è il 1999. E la cosa è resa divertentissima dal film che troviamo al primo posto.

Volete sapere quant’era potente il brand Star Wars a fine anni ’90? Volete sapere con quanta maestria il team di George Lucas aveva saputo tenere in piedi un marchio per oltre 15 anni a botte di nostalgia alimentata, universo espanso, libri videogiochi fumetti e pupazzetti? Nel 1999, dopo una delle rincorse più lunghe ed epiche di sempre, esce Star Wars – Episodio I: La minaccia fantasma, il primo capitolo di quella che oggi conosciamo come la trilogia prequel. È basato sull’infanzia di colui che poi diventerà Darth Vader, il villain più famoso della saga (e forse del cinema tutto). Non c’è nessuna delle star principali della saga precedente, a parte due robottini e il vecchio maestro interpretato da un attore più giovane. Ma era uscito un teaser poster ispiratissimo, con il giovane monello protagonista che proiettava l’ombra di Darth Vader su un muro, e in più si raccontava la storia di come Lucas avesse in mente nove film fin dal principio, e si promettevano nuovi ritrovati nel campo degli effetti speciali digitali. Era l’evento dell’anno, senza se e senza ma. Probabilmente l’evento del decennio. Talmente l’evento del decennio che, quando finalmente uscì e risultò deludente a livelli increduli, sconcertanti, traumatici, questo non bastò a frenarne gli incassi. La gente non ci credeva che era davvero brutto come raccontavano, e lo andavano a vedere lo stesso per controllare. I fans più determinati lo andavano a rivedere per sicurezza. Ma niente. Era brutto in modo francamente inspiegabile. Divenne una delle delusioni più pesanti e famose della storia. Ma incassò comunque cifre spropositate, e vinse l’annata in scioltezza. E il progetto della trilogia continuò imperterrito: l’unico cambio di programma sostanzialmente fu levare di mezzo Jar Jar Binks, il personaggio interamente digitale (il primo del suo genere) che nei piani doveva diventare un nuovo simpatico beniamino dei fans ma che in realtà divenne da subito odiatissimo, considerato il problema maggiore e forse anche un po’ il capro espiatorio di tutti i difetti del film.

Al secondo posto, Il sesto senso doveva essere un thriller sovrannaturale di poche pretese con Bruce Willis, e invece cattura da subito l’interesse della gente con la sua storia intrigante e il suo famosissimo colpo di scena finale: inizia con un clamorosissimo botto a sorpresa la controversa carriera di M. Night Shyamalan.

Al terzo posto l’atteso sequel di Toy Story, che conferma il cast creativo del primo film e riceve se possibile recensioni ancora più positive; la Disney è poco sotto, sesta, con Tarzan.

Al quarto, trascinato dal passaparola sul primo film che negli ultimi anni era cresciuto esponenzialmente, esplode il sequel di Austin Powers riportando Mike Myers alle vette di fama di Fusi di testa se non addirittura più in alto.

Al quinto posto un altro film che sembrava di poche pretese e finisce invece per ribaltare come un tornado l’immaginario del cinema d’azione e di fantascienza: Matrix, con Keanu Reeves, diventa forse il film più esteticamente influente dai tempi di Blade Runner.

Al settimo posto si conferma la buona stella di Adam Sandler con Big Daddy, storia di un tizio che adotta un orfano per impressionare la sua morosa ma finisce (ovvio) per affezionarcisi.

All’ottavo posto, un improbabile remake della Mummia trasformato in omaggio a Indiana Jones lancia un nuovo franchise e la carriera di Brendan Fraser. Al nono, Julia Roberts prosegue con la sua serie di colpi facili riunendosi con Richard Gere nove anni dopo Pretty Woman in Se scappi ti sposo.

Al decimo, il vero caso più imprevedibile dell’anno: lanciato da una innovativa campagna internet che aveva confuso i confini tra finzione e realtà, e caratterizzato dalla scelta stilistica di non seguire un formato strettamente narrativo ma di simulare e fingere di essere letteralmente il filmato integrale girato dai protagonisti (non una novità di per sé, ma per la prima volta venduta con successo a un pubblico mainstream). The Blair Witch Project  era costato 60.000 dollari, e incassò nel mondo oltre 200 milioni. Nessuna delle persone coinvolte ebbe una carriera rilevante.

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I dimenticati

Inutile negare l’evidenza: il più dimenticato della decina è di nuovo il film di Adam Sandler, che in Italia non ha mai decollato. Eppure non è così distante dalle nostre corde: è il classico adulto con la sindrome di Peter Pan, costantemente circondato dai suoi amici e innamorato e/o sposato a rotazione con le donne più belle che Hollywood possa offrire. Insomma: alla grossa, è il Pieraccioni americano. Da noi non ha mai veramente sfondato ma negli USA è , da 20 anni, una garanzia di incassi. Avrà una lieve flessione nei primi 2000, ingranerà di nuovo con Terapia d’urto in coppia con Jack Nicholson, e da lì non lo fermerà più nessuno. Le sue commedie avranno sempre un concept semplice e forte come base, una componente nostalgica, una sentimentale, quell’andamento sciatto e rassicurante che è tipico di chi vuole piacere allo spettatore medio senza troppi pensieri per la testa, l’occasionale guizzo matto che ricorda i tempi migliori del Saturday Night Live e dei primissimi film.

I sottovalutati

Effettivamente nel resto della classifica abbiamo una serie impressionante di classici per tutti i gusti. Abbiamo Il miglio verde (12), amato adattamento da Stephen King, con Tom Hanks, dallo stesso regista di Le ali della libertà. Abbiamo American Beauty (13), il dominatore degli Oscar. Abbiamo 007: Il mondo non basta (14), che continua i buoni incassi da parte del James Bond di Pierce Brosnan, anche se in lieve calo sui primi due. Abbiamo Notting Hill (16), a completare la doppietta di Julia Roberts e lanciare definitivamente la carriera di Hugh Grant anche negli USA. Abbiamo American Pie (20), che sulla scia dell’umorismo spinto dei fratelli Farrelly rilancia la tipica commedia giovanilistica alla Porky’s in chiave un po’ più rassicurante. Abbiamo piccoli cult come Payback (26) con Mel Gibson, Ogni maledetta domenica (28) di Oliver Stone, Blu profondo (29) di Renny Harlin con Samuel L. Jackson contro squali intelligenti, le affettuosa meta-parodie Galaxy Quest (30) e Bowfinger (35) e piccoli classici del sentimentale come Kiss Me (38) e Mai stata baciata (43) (non fanno parte dello stesso universo condiviso). Abbiamo il famoso film incompiuto di Stanley Kubrick, Eyes Wide Shut (42), completato postumo al montaggio. Abbiamo il lungometraggio di South Park (47), che alla faccia della scorrettezza riuscì persino a portare una canzone agli Oscar. Abbiamo un cult famosissimo come Fight Club appena alla posizione 54: esatto, fu un flop. Abbiamo Dogma (66), con cui Kevin Smith rischiò una scomunica. Abbiamo una tripletta incredibile nelle zone basse della classifica: Il gigante di ferro (78), Essere John Malkovich (79) e Magnolia (80), e più giù Summer of Sam (86) che nonostante gli incassi modesti rilanciò la carriera di Spike Lee dopo una manciata di film che non avevano lasciato traccia. Abbiamo l’accoppiata Scorsese/Cage con Al di là della vita (93), e il primo film di Alexander Payne, Election (98). Incassa pochissimo Boys Don’t Cry (117), ma fa vincere un Oscar alla sua protagonista Hillary Swank, e ancora meno Office Space (121). E ancora più in basso troviamo Lock & Stock di Guy Ritchie (166), L’inglese di Steven Soderberg (170), eXistenZ di David Cronenberg (174). E tutto questo ben di Dio incassò meno di Stuart Little (11), il topolino in CGI doppiato da Michael J. Fox (Luca Laurenti in Italia).

Il grande flop

Da dove cominciare? Fight Club, dicevamo. Fight Club (posizione 54) costò circa 63 milioni, anche se alcuni report dicono persino 90, e ne incassò 37. Si trattava di un film strano da pubblicizzare, condizionato da cambi dirigenziali che portarono al comando gente che non aveva ben chiaro cosa farsene, e che attirò alcune fra le stroncature più violente degli ultimi anni. Recuperò in giro per il mondo tirandone su un centinaio, e oggi è quel grosso, solido e controverso pezzo di cultura pop che è. Man on the Moon (58), la biografia di Andy Kaufman per cui Jim Carrey entrò in modalità Stanislavski Extreme (trovate un apposito documentario, The Great Beyond, su Netflix), fu un altro silenzioso flop che costò 82 milioni e ne incassò 34. E volendo si potrebbe citare Cavalcando col diavolo (219), un western di Ang Lee che costò 38 milioni ma non andò a vedere letteralmente nessuno (650.000 dollari).

Ma il trono va sostanzialmente condiviso. Wild Wild West fu il flop più rumoroso e sì, incassò molto meno del previsto, fece perdere “l’imbattibilità” a Will Smith e si fece ridere dietro per una maldestra e poco ispirata avventura western steampunk tratta da un vecchio serial tv. Furono investiti 170 milioni, ma negli USA il film ne incassò solo 114, piazzandosi comunque a un apparentemente rispettoso 17esimo posto e andando un po’ meglio oltreoceano. Di certo, agli albori dell’internet, non aiutava che l’acronimo fosse “WWW”. Oggi vale la pena ricordarlo soprattutto per il modo in cui Kevin Smith racconta la storia di come il produttore Jon Peters fosse ossessionato dall’idea di mettere un ragno gigante nella sceneggiatura di un Superman che non fu mai girato, e poi riuscì a metterlo nel finale di questo.

Ma se stiamo alle cronache più pessimiste, il peggior flop dell’anno fu Il 13esimo guerriero, che costituiva il ritorno alla regia di John McTiernan dopo Die Hard 3. L’idea era replicare in qualche modo il successo di Zorro coinvolgendo Antonio Banderas in un’epica storia di un arabo alla corte dei vichinghi, tratta da un romanzo minore di Michael Crichton. Alcuni report danno un budget di 100 milioni, altri dicono che ritardi e maneggiamenti vari lo fecero salire fino a 160: del resto la produzione tardò talmente tanto che nel frattempo McTiernan riuscì a girare un altro film, un remake di Il caso Thomas Crowne con Pierce Brosnan che in Italia fu intitolato Gioco a due (31). Il film fu un pasticcio di troppe teste e troppi litigi al montaggio, e risultò comunque troppo pesante e violento per il pubblico di riferimento, e incassò appena 32 milioni (posizione 62).

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Il tema dell’anno

Se Batman nel 1989 poteva essere individuato come il film che sanciva ufficialmente il passaggio agli anni ’90, qui i film influenti si contano di colpo ad almeno una mezza dozzina. C’è Matrix, la cui estetica fatta di abiti in pelle e occhiali scuri divenne quasi obbligatoria per ogni action/sci-fi dell’intero successivo decennio, e lo stesso dicasi per il pesante e maldestro uso di cavi e CGI nelle scene di combattimento. C’è il Blair Witch Project, che ispirò una marea di filmmakers squattrinati (ma non solo) a buttarsi sulla nuova gimmick del “found footage” che sulla carta (sulla carta…) prometteva poca spesa e molta resa, ma fu soltanto dopo Paranormal Activity (2007) che il sottogenere esplose veramente. C’è American Pie, che ad oggi conta tre sequel cinematografici e altri cinque direttamente per il mercato homevideo, e un ampio numero di imitatori da Road Trip (2000) a Maial College (2002): tutti conoscono la scena di “sesso” con una torta, ma non so quanti ricordano che il termine “milf”, ancora usatissimo oggi per apprezzare donne genericamente sopra i 35, è nato qui. Altri titoli come Il sesto senso, Fight Club, Essere John Malkovich, Lock & Stock o Magnolia contano meno imitatori diretti ma portarono una ventata di creatività fresca che ispirò soprattutto a trovare storie o stili del racconto diversi. Per cui sì: ero iniziamente scettico, ma devo ammettere che il 1999 è stato un anno decisamente degno di nota. E in tutto questo, fa di nuovo ridere che a vincere il box office sia un film che ha lasciato più traumi che ricordi piacevoli come La minaccia fantasma.

E in Italia?

In Italia la delusione per Star Wars è molto più grossa, e lo fa scivolare fino all’ottavo posto. Vince a sorpresa Se scappi ti sposo: si decise per qualche ragione che il merito era tutto del titolo italiano, e pertanto si iniziò ad applicare lo stesso template a qualsiasi cosa a macchia d’olio, con note vittime illustri tipo The Eternal Sunshine of the Spotless Mind che divenne Se mi lasci ti cancello. Ma la sorpresa è che, avessi dovuto indovinare un vincitore al di fuori di Star Wars, avrei puntato tutti i miei soldi sulla storia dell’adulto sedotto da una minorenne di American Beauty, che invece è solo secondo. Le altre sorprese sono Notting Hill al quarto posto e Il gladiatore al sesto (anche questo me lo aspettavo più, considerando il culto di cui ancora gode dalle nostre parti), più il decimo posto d’autore per Eyes Wide Shut. Unico italiano presente: Pieraccioni con Il pesce innamorato (nono).